c a p i t o l o  xvi

 

L'ULTIMA MALATTIA E LA MORTE

 

 

            Ivan non era di forte costituzione fisica, tuttavia il suo organismo era in grado di sopportare anche gravi fatiche; a questo si era abituato soprattutto durante la vita militare e continuando poi a condurre una vita austera e penitente, fino a quando non dovette mitigarla per obbedienza. Ancora da giovanissimo, però, ebbe difficoltà con gli occhi, e a Parigi si era trovato in una situazione disperata, temendo di dover abbandonare anche gli studi. Dopo il pellegrinaggio a Lourdes gli occhi gli migliorarono tanto che poté finire gli studi e dedicarsi alla sua professione e all'apostolato.

            Nel 1927, Ivan ebbe una forte influenza, seguita dalla pleurite secca e dal catarro degli apici polmonari; da allora cominciò ad avere disturbi nel naso. Ai primi di febbraio del 1927 egli scriveva all'amico Dragan Marošević: «Poco fa sono tornato dal dr. D. Sono stato visitato ai raggi X e mi è stato accertato il processo all'apice del polmone sinistro. Non est ad mortem. Un piccolo sigillo del difficile anno delle Aquile. Fiat voluntas Dei! Solo domani potrò ufficialmente uscire, e precisamente alla s. Messa... Oggi ho cominciato la novena alla Madonna di Lourdes, alla francese: una decade di rosario, 3 Parce Domine. Poi le invocazione al Cuore di Gesù, alla Madonna e a vari Santi. Intenzione: Per lo HOS, la SHO e per noi due!»

 

 

            1. Convalescente a Sv.Križ (Slovenia) e a Hvar.

 

            Nonostante tutte le premure dei genitori e la sua buona volontà non riusciva a ristabilirsi, pur avendo rinunciato al giaciglio duro, al digiuno e ad altre abitudini. Nel luglio del 1927 si recò in Slovenia, a Sv. Križ sopra Jesenice, dove rimase quasi due mesi. La sua unica compagnia era il parroco e alcuni studenti-convalescenti, per qualche tempo suo padre e il suo confessore, che pure era malato (tbc). Ivan continuò a lavorare per l'organizzazione delle Aquile. Gli dispiaceva di non poter essere presente al raduno di Sarajevo (agosto 1927). Negli ultimi giorni a Sv. Križ scrisse la relazione per la Conferenza Episcopale del 1927 e la lettera al Nunzio a Belgrado mons. Ermenegildo Pellegrinetti. P. Vrbanek S.I. così descrive il soggiorno di Ivan a Sv. Križ:

            «Quasi tutto il luglio e l'agosto del 1927 abbiamo passato insieme sulla montagna Sv. Križ a circa 1000 m di altezza. Era alloggiato - per qualche tempo con il padre - nella più bella stanza dell'ospizio e generosamente, e al tempo stesso prudentemente, faceva di tutto per guarire quanto prima e nel modo più completo dal catarro e dalla pleurite che aveva avuto. Noi tutti vedevamo in lui un perfetto cavaliere di Cristo e molte volte lo ammiravamo. Per poter assistere alla Messa tutti i giorni, mi serviva all'altare, anche di domenica, a edifica­zione generale dei parrocchiani. Ogni giorno riceveva la s. Comunione e rimaneva in ringraziamento almeno mezz'ora dopo la s. Messa. Siccome intorno al mezzogiorno arrivava e veniva spedita la posta, nella mattinata preparava le lettere da spedire; ce n'erano parecchie. Nel pomeriggio leggeva, prendeva appunti e scriveva articoli, relazioni, e verso sera facevamo una passeggiata e la visita al Santissimo. Per accontentare gli studenti-convalescenti giocava anche agli scacchi e altri giochi, mai alle carte. Con vivo interesse seguiva, anzi spiritualmente guidava la lotta che l'organizzazione delle Aquile come autentica Azione Cattolica doveva sostenere all'assemblea generale. Gli dispiaceva moltissimo perché la salute non gli permetteva di recarsi a Sarajevo, dove allora si decideva della sorte dello HOS. Mentre, secondo il programma, là si discuteva, egli stava in ginocchi davanti al Santissimo. All'uscita gli chiesi: «E se fossero risusciti ad annientare lo HOS?» - «Penso di no», rispose con una pace perfetta, «ma se anche riuscissero, si faccia la volontà di Dio!» - Con una particolare relazione informò la Santa Sede sul vero stato delle cose. Con gli studenti G. e F., che si trovavano lassù, comunicava come con dei compagni, benché fossero molto più giovani di lui, ed esercitava un forte influsso su di loro. Con abilità e facilmente deviava la conversazione sulle questioni spirituali e religiose, andando fino in fondo e tirandone conclusioni pratiche. Nelle bellezze della natura come in uno specchio guardava il Creatore e di Dio parlava in modo così bello e sublime come se leggesse dal De Perfectionibus divinis di Lessius. Con tutto il caldo e il sudore, il dr. Merz non si scollacciava ma rimaneva con il gilè abbottonato. Servizievole al massimo, in ogni occasione si prestava per portare qualcosa, sollevare o correggere, proprio come se fosse al servizio di coloro che ne avevano bisogno. Verso le donne era molto fine e servizievole, tuttavia era naturale e apertamente rimproverava se erano vestite in modo non decente (la nudità di moda). Sapeva divertire e far ridere chiunque, come se questo fosse il suo ufficio. A tutti ha lasciato un meraviglioso esempio di pietà, modestia, purezza, sollecitudine, umiltà, zelo, laboriosità, mentre in lui non c'era ombra di difetti contrari. E' comprensibile che anche i contadini del posto ne abbiano conservato un caro ricordo, e l'anno seguente, quando due mesi dopo la sua morte venni di nuovo da loro, mi parlarono "del santo signor professo­re"».[1]

            Dopo il soggiorno a Sv. Križ, Merz andò al mare, a Hvar. Di questo suo soggiorno hanno scritto il vescovo Pušić, don Mate Blašković e il prof. Dušan Žanko (cf. Cap. XIV, 5 e 8). Ma la sua salute non migliorò, parlava con difficoltà ed era indebolito. Finalmente nel gennaio del 1928 seppe la diagnosi precisa della sua malattia: la sinusite mascellare cronica purulenta (sinusitis maxillaris chron-purul. sin.). Gli furono praticate delle punture per far uscire il pus.[2] La malattia progrediva e gli causava sempre maggiori difficoltà. I medici raccomanda­rono l'operazione chirurgica.

 

            2. Le ultime annotazioni nel Diario (gennaio-febbraio 1928).        

 

            Ivan, che negli anni di intenso lavoro apostolico non scriveva il diario, nel gennaio del 1928 ricominciò ad annotare:

           

            Zagreb, 21 gennaio 1928.

            Tutto a gloria del Sacratissimo Cuore di Gesù.

            Forse sono passati i tempi delle grandi lotte ideologiche...

 

            Zagreb, 8 fabbraio 1928.

            Scrivo, perché sono convinto che intorno a noi stanno accadendo delle cose importanti in cui percepisco chiaramente e concretamente come il Signore guida tutti i particolari della nostra vita e del nostro lavoro. Specialmente mons. Beluhan mi fa impressione di un santo in mezzo a noi: è a disposizione di tutti, lavora per tutti, a tutto pensa. Non immagino diversamente un santo-parroco. Oggi mi ha esposto dettagliatamente il suo piano per la fondazione di una associazione assicurativa cattolica, con cui aiutare il finanziamento del "Langov Dom" (La casa di Lang) e il quotidiano cattolico neutrale.

            L'Ill.mo Akšamović ci ha ricevuto cordialmente e forse sarà accolta la proposta dello HOS, secondo la quale la nostra organizzazione rimane autonoma.

 

            Zagreb, 10 febbraio 1928.

            Oggi per la prima volta la mamma ha acconsentito che il rosario venga recitato in comune nella nostra famiglia. Domani è la (festa della) Madonna di Lourdes. Questo è opera sua. Ma per questo sono state necessarie tante malattie e ancora questa operazione al naso, che forse dovrò subire, se la Madonna santa non aiuta diversamen­te.

 

            Zagreb, 13 febbraio 1928.

            Su di noi c'è una croce abbastanza grande. Ho una acuta, forte sinusite mascellare. Oggi mi è stato tolto un dente. La mamma è in grandissima pena. Vedo però che prega abbastanza volentieri. Ieri sera abbiamo fatto quasi un voto che reciteremo il rosario in comune ogniqualvolta le circostanze e il lavoro lo permetteranno. Strano: questa nostra sofferenza sembra aver operato miracoli nella mamma, la quale adesso prega abbastanza facilmente anche il rosario e dice di aver pregato oggi circa un centinaio di Pater noster e Ave Maria. Una prova sperimentale che la sofferenza è il mezzo più forte per la salvezza e la santificazione delle anime. Beate quelle anime che con gioia ricevono dalla mano del Signore ogni dolore e unite a Gesù contribuiscono alla diffusione della Chiesa di Gesù - nelle anime e nella società.

           

            Zagreb, 14 febbraio 1928.

            Il p. Vrbanek ha avuto di nuovo emotisi. Dice che desidera il martirio quando vede tutto l'insuccesso del lavoro. Riflette come Dio è presente e opera in ogni microbo e come in modo speciale opera in noi quando soffriamo...

 

            Zagreb, 15 febbraio 1928.

            E' facile ricevere ogni giorno la s. Comunione e partecipare al banchetto del Signore. Oh, come è acerbo quando l'uomo deve morsicare e mangiare il duro legno della santa croce. - Oggi mi hanno tolto ancora un dente».

           

            Zagreb, 16 febbraio 1928.

            «Quanto ardentemente desidero soffrire», sono le parole pronunciate oggi dal malato p. Vrbanek. Egli pensa che davvero esistano da noi due correnti nel campo cattolico. Ritiene che i seniori siano minimalisti, cioè vogliono conservare quel minimum che li rende ancora cattolici. Dice che lo spirito di s. Ignazio è di mirare sempre in alto, sapendo che solo così si otterrà qualcosa di mediocre. Se si mira in basso, non si ottiene quasi niente.

 

            3. Gli ultimi colloqui con il confessore.   

 

            «Ivan dunque soffre fisicamente e spiritualmente - scrive il suo confessore, p. Vrbanek -; soffre per sé, per i suoi e per l'Organizzazione; soffre con abbandono, offrendo tutto per la santa Chiesa. Anche a lui era "acerbo". Era consapevole delle proprie capacità

per il lavoro per la gloria di Dio; vedeva il grande bisogno di questo lavoro nelle nostre difficili condizioni ecclesiastiche; desiderava consolare la madre carnale e aiutare la madre spirituale, la s. Chiesa. Il Signore invece gli chiede di morire...

            Nella difficile aridità spirituale è venuto al confessore:

            - Anche il buon Dio mi abbandona!

            - Non abbandona - gli dice il confessore. - Solo priva della dolcezza della sua presenza. Il Padre buono manda il figlio prediletto in una scuola superiore. L'assenza del Padre è per il suo bene.                 

            - Eppure sarebbe bello vivere ancora e lavorare....

            - Sì! Ma anche Gesù secondo il disegno del Padre doveva finire nel 33. anno. E ancora come!

            - Il dolore è davvero qualche cosa di grande e di prezioso!

            - Sì, in esso l'uomo si fa il proprio dono per il Signore. Se si accetta volontariamente la morte, il dolore spreme dall'uomo il suo "io". Questo minuto "io" scompare nell'immensi­tà di Dio. E proprio in questo abbraccio trova la piena felicità di figlio.

            - Sacrificio, il sacrificio totale! Lo dico! è venuto il tempo del sacrificio.

            - Offriamolo con il più generoso abbandono.

            - L'abandon! Totale abbandono.

            - Dare tutto, e precisamente con amore di figlio.

            - E, bene - fiat! Sia fatta la Tua volontà!...».

 

            In precedenza Ivan aveva chiesto al confessore:

            - Non dovrei differire ancora l'operazione?

            - Può lavorare? - domandò il confessore.

            - Adesso ormai poco. E il medico dice: Senza l'operazione, sempre di meno![…] 

Mi dicono che è pericoloso rimandare l'operazione.

            - E allora non resta che subirla. 

            - Nelle mani di Dio!.

 

            «L'ultimo nostro colloquio - continua p. Vrbanek - era intorno a certi difetti tra le Aquile, che gli avversari rilevavano. Attirai allora la sua attenzione all'articolo del p. Doncoeur in "Etudes" sull'eroismo ciarlone e il patriottismo di carta, dove spesso si diceva: "C'est de la litterature!" E che l'unico rimedio a tale superficialità era il lavoro e il sacrificio effettivo, secondo le parole del Salvatore: "Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto" (Gv 12, 24). E con questo pensiero si è congedato: "Sì, ne sono convinto già da tempo: bisogna sacrificare! Io sono finito!"».[3]

 

            4. L'operazione e la morte.

 

            Dell'operazione Ivan aveva parlato anche con il dr. Beluhan e il dr. Kniewald. Questi gli aveva suggerito di farsi operare dal dr. Šercer, assistente del prof. Mašek, perché più giovane e di mano più sicura, ma Merz preferì il prof. Mašek. Quando già aveva preso appuntamento con il professore, comunicò ai genitori che stava per andare in clinica. I genitori, ovviamente, erano in apprensione, anche perché negli ultimi giorni diceva alla madre che egli sarebbe morto prima di lei e, per consolarla un po', quasi scherzando le diceva di prendere per figlio il dr. Avelin Ćepulić, al quale poco prima era morta la mamma. «La vigilia del giorno in cui doveva recarsi in clinica - scrive Kniewald - l'ho trovato nella sua stanza ordinare i fascicoli della sua abbondante corrispondenza. Mi disse che voleva mettere tutto in ordine prima di andare in clinica. Attribuivo ciò al suo senso per l'ordine e alla sua coscienziosità. In quel momento non mi erano noti i suoi colloqui con il p. Vrbanek S.I. né la sua disposizione spirituale, che Ivan sempre con cura nascondeva agli altri. Oggi so che c'era di mezzo ben più che il senso per l'ordine e la solita cosienziosità. Ivan presentiva che non sarebbe vissuto a lungo. Si è preparato alla morte e voleva eliminare dai suoi appunti e dalla corrispondenza tutto ciò che avrebbe potuto compromettere qualcuno personalmente».[4]

            P. Vrbanek ha scritto in proposito che Ivan «si è congedato anche dai suoi avversari bruciando tutto il materiale probatorio contro di essi che gli era stato portato da più persone, le quali avevano anche il motivo di accusarli».[5]

            Congedatosi dai genitori si è presentato alla clinica otorinolaringoiatrica dell'Unive­rsità, ma per mancanza di posto libero gli fu detto di venire il giorno dopo. Tornato a casa, ha lavorato e vegliato a lungo. «Come suo padre ed io abbiamo costatato, ha distrutto il testamento e al suo posto ha messo nella busta, dove prima era il testamento, il biglietto su cui ha cercato di comporre il suo epitaffio in latino:

                                                          I(oannes) M(erz) in pace

                                               Mihi vivere Christus fuit et mori lucrum 

            Invece del latino "fuit" aveva scritto esattamente secondo s. Paolo "est". Ma poi, letto di nuovo il testo e considerandosi di fatto già morto, ha cancellato "est" e ha scritto "fuit"».[6]

            Il giorno dopo, 25 aprile, ricevuta la s. Comunione nella chiesa del S. Cuore, è andato alla Clinica, portando con sé il suo grande Messale, le meditazioni del p. Meschler, la corona e i suoi propositi degli ultimi esercizi spirituali.

 

            Il 26 aprile fu operato. Dopo l'operazione la ferita sanguinava molto. Ivan stesso chiese al medico se era il caso di chiamare il sacerdote, e fece venire il p. Vrbanek, il quale però non gli amministrò l'estrema Unzione, perché si sperava che l'emoragia sarebbe cessata e che il decorso postoperatorio sarebbe stato normale. Quando sembrava che tutto andasse meglio, improvvisa­mente la temperatura cominciò a salire. (Secondo la cartella clinica, il 1 maggio alle 7 era di 37,5E e alle 19 era salita a 39,8). Era ormai in atto la meningite che diventava sempre più diffusa.

            Durante tutta la malattia il dr. Merz era un esempio di pazienza e di finezza agli altri pazienti che erano nella stessa stanza e alle infermiere. «La Suora che lo assisteva, mi ha detto - scrive Kniewald - che non ha mai avuto un tale paziente, che le sembrava un santo».[7] Era grato per ogni minimo servizio. Avendo saputo che nella stanza vicina stava morendo un signore anziano, subito chiese alla Suore se quel tale si fosse confessato, e poiché la risposta fu negativa, raccomandò di fare qualcosa perché si confessasse. E quando uno, che aveva subìto la stessa operazione come lui, dopo alcuni giorni dichiarò di sentirsi bene, Merz gli suggerì di confessarsi e comunicarsi in segno di riconoscenza a Gesù e alla Madonna.[8]

 

            Negli ultimi giorni Ivan soffriva terribilmente, ma con tale pace, pazienza e riguardo, che tutti i presenti erano ammirati.

            Il suo confessore, p. Vrbanek, sebbene egli stesso malato, venne di nuovo per amministrargli l'estrema Unzione. Ivan era cosciente, ma si faceva intendere solo con segni. Il confessore gli ricordò l'ultimo colloquio sul sacrificio, e Ivan con difficoltà riuscì a pronunciare: «Ce n'est pas la litterature!» Il confessore, vedendo che egli davvero offriva il sacrificio della vita, gli rammentò la conversazione sulle Aquile e chiese se avesse ancora qualcosa da dire. Ivan confermò, e il confessore gli disse. «E' vero, Lei offre la vita per le Aquile croate?» Ivan sereno lo guardò, i suoi grandi occhi brillarono e fece un inchino con la testa.[9]

 

            «Per lo più è senza conoscenza - annota Kniewald nel diario l'8 maggio. - Dopo le convulsioni, a momenti riprende la coscienza. Le Suore lo sorvegliano di notte. Adesso di giorno sarà sempre presente un sacerdote. Le Aquile stanno nell'anticamera e pregano sotto voce, con il consenso del dr. (Šercer) e del dr. G(ušić), che ho pregato di chiudere tutti e due gli occhi. Soltanto non devono entrare e devono essere silenziosi. Tutta la clinica sente che questo non è un paziente comune e non protesta contro le eccezioni accordate a quest'uomo di Dio. Mi fa pena scrivendo questo e mi vengono le lacrime agli occhi. Ma devo essere forte. Ci sono i genitori, il padre per il quale Ivan era tutto al mondo e di cui egli era tanto fiero, e poi la madre sofferente, già da anni costretta a letto. Lei non sa ancora niente. Al padre invece ho dovuto dire tutta la verità. Bisogna essere pronti a tutto».

 

            Il 9 maggio, il Nunzio mons. Ermenegildo Pellegrinetti, di passaggio a Zagreb, informato dal p. Vrbanek che il dr. Merz era moribondo, andò a vederlo e gli diede la benedizione. Era presente il padre di Ivan. Il Nunzio gli disse: «Se muore, ciò non sarà una disgrazia per lui, ma per noi».

            Tutto il pomeriggio del 9 maggio il dr. Kniewald era nella clinica. La sera, rientrando con il dr. Gušić nella stanza di Ivan, lo trovò cosciente. «Con delicatezza gli comunicai che il Santo Padre gli mandava la benedizione apostolica, chiesta dal vescovo Premuš (in assenza dell'arcivescovo Bauer che si trovava a Roma). Il suo volto leggermente risplendette. Ha capito ma non poteva dire niente».

            Nella notte erano accanto al malato, scambiandosi, il dr. Beluhan, p. Ambroz Vlahov e p. Milan Pavelić. La mattina del 10 maggio, giovedì, oltre al padre di Ivan, il medico e la Suora infermiera, erano presenti il dr. Beluhan, il dr. Protulipac e il dr. Kniewald. Ivan stava morendo, il respiro diventava sempre più lento, gli occhi erano chiusi. Ad un tratto si aprirono, una lacrima cadde, mentre lo sguardo era diretto in alto. Ancora un respiro e Ivan non era più tra i vivi. I presenti si misero in ginocchio, mentre il dr. Beluhan recitava "Requiem aeternam dona ei, Domine,...".[10]

                       

            5. Solenni funerali e sepoltura.

 

            La morte di Ivan fu annunciata dalla grande campana della cattedrale, che suona soltanto quando muore l'arcivescovo o qualche canonico. Tutta la città ne era rimasta sorpresa: «Questi dev'essere più di un giovane professore!»  Anche gli impiegati della posta si domandavano: «Chi è costui? Che cosa era?», tanti erano i telegrammi provenienti da ogni parte della Croazia.

            La sua salma - nell'uniforme di Aquila, come egli stesso aveva voluto - rimase esposta per due giorni nella camera ardente nel cimitero di Mirogoj. Migliaia di cittadini passavano davanti, mentre dal venerdì pomeriggio le Aquile in uniforme facevano la guardia d'onore. Il funerale fu celebrato la domenica, 13 maggio alle ore 15. Officiava il vescovo ausiliare mons. Dominik Premuš. Il discorso funebre fu fatto dal presidente dell'Azione Cattolica, dr. Stjepan Markulin, e a nome dei professori del Ginnasio arcivescovile dal dr. Mladen Deželić. Nonostante la pioggia, erano presenti circa cinquemila persone, tra cui il vescovo ausiliare Salis-Sevis, i rappresentanti dell'arcivescovo di Sarajevo, del vescovo di Šibenik, della Facoltà teologica, dei Distretti e associazioni delle Aquile, il console francese Boissier, gli alunni del Seminario arcidiocesano e di quello greco-cattolico, molti sacerdoti e religiosi. Dopo il funerale del vescovo Lang (m. 1924), non si era visto uno simile a quello di Merz. Oltre a moltissimi fiori, c'erano 22 corone: sui nastri di seta bianca si potevano leggere le scritte come "Žrtvi Orlovstva (Alla vittima dell'Aquilismo)", "Duši Orlovstva (All'anima dell'Aquilismo)", "Kristovu vitezu (Al cavaliere di Cristo)", "Žrtvi orlovskog apostolata (Alla vittima dell'apostolato delle Aquile)".

           

            Per volontà del padre, Ivan fu sepolto in terra, in attesa che fosse fatta la tomba di famiglia. Il sepolcro di Ivan divenne meta di frequenti visite individuali e di gruppo. 

            Il 17 maggio 1930 i resti mortali furono trasferiti nel nuovo sepolcro, sul quale era inciso l'epitaffio che in traduzione italiana suona:

                                                   QUI RIPOSA IN CRISTO SUO DIO

                                                                DR. IVAN MERZ

                                                           16.XII.1896 - 10.V.1928

                                        AL FIGLIO FEDELE DELLA CHIESA CATTOLICA

                                            LA VITA ERA CRISTO E LA MORTE LUCRO

                                       PERCHE' ATTENDEVA LA MISERICORDIA DI DIO

                                          E IL RIPOSO ETERNO SUL CUORE DI GESU'

            In questo sepolcro furono poi seppeliti i genitori di Ivan: la madre,  morta il 5.VI.1935, e il padre, morto il 26.XII.1959.

           

            Otto giorni dopo il funerale, 20 maggio, nella sala strappiena di S. Girolamo fu fatta la solenne commemorazione di Ivan Merz, alla presenza dei vescovi Premuš e Salis-Sevis, dei rappresentanti di tutti gli Ordini religiosi e di altre personalità eminenti. Parlarono il dr. Milan Beluhan, lo scrittore Ilija Jakovljević e Dušan Žanko. Tutta la stampa cattolica diede ampio rilievo alla vita e all'opera del defunto Merz. "Orlovska Straža" e "Orlovska Misao" dedicarono i numeri di giugno alla sua memoria. Di lui si continuerà a scrivere negli anni successivi, fino a quando ciò sarà consentito... (cf. Cap. XVII).

                         

 

 

 

 

 


 


    [1] Questa relazione del p. Vrbanek, scritta su richiesta del dr. Kniewald, è riportata da quest'ultimo nella biografia di Merz, Zagreb 1964 (dattiloscritto), p. 219s.

    [2] Abbiamo la cartella clinica del paziente. Fotocopia in Arch. Merz.

    [3] J. Vrbanek, Vitez Kristov, p. 150s.

    [4] D. Kniewald, op. cit., p. 225.

 

    [5] Vrbanek, op. cit., p. 152.

    [6] Kniewald, op. cit., p. 225.

 

    [7] Ibid., p. 227.

    [8] Ibid., p. 230.

    [9] Vrbanek, op. cit., p. 152s.

    [10] Kniewald, Diario, p. 201s.