Capitolo IX

 

IVAN MERZ IN FRANCIA

 

(ottobre 1920 - giugno 1922)

 

 

 

D. testimonianze sul soggiorno parigino di ivan merz

                                                                          

           Abbiamo anche alcune testimonianze dirette sul soggiorno parigino di Merz. Esse sono di prim'ordine perché rilasciate dalle persone che quotidianamente (come Michaut e Graèanin) o spesso (come mons. Beaupin) avevano contatto con lui. A queste è da aggiungere anche la testimonianza del p. Hausherr S.I., che aveva incontrato Ivan a Parigi, oltre che in Bosnia e a Roma (v. Cap. XVII, 7)

 

                                                                           1

 

           Lettera della Sig.na J. Michaut al Dr. Drago Æepuliæ, Parigi, 1928 (?).

 

        Dopo le prime difficoltà di trovare alloggio a Parigi, Merz, con i suoi due compagni, aveva trovato sistemazione presso la signora Michaut, la quale aveva cercato di trattarli come una madre. La signora morì alcuni anni prima di Merz e dopo la morte di quest'ultimo, la figlia della signora, rispondendo al prof. Drago Æepuliæ che raccoglieva informazioni su Merz, gli scrisse questa lettera, che il dr. D. Kniewald (e poi anche il p. Vrbanek) pubblicò nella biografia di Merz. Poiché non abbiamo potuto rintracciare l'originale francese della lettera, l'abbiamo tradotta dal croato.

 

           Signor Professore,

        Non pensi che, nonostante il mio silenzio, non mi interessi della cosa del nostro caro signor dott. Ivan Merz. Anch'io sono molto felice perché state raccogliendo tutti i ricordi riguardanti la sua persona, poiché a Parigi agli occhi di tutti coloro che lo hanno conosciuto, egli conduceva una vita da santo. Le varie mortificazioni, digiuni, tutti i suoi atti erano fatti per la gloria di Dio. Egli con il suo esempio edificava noi che l'abbiamo conosciuto per due anni; da noi egli è vissuto quasi incessantemente, lavorando e mangiando con noi nella nostra cerchia familiare. E si ricorda, signor professore, come mia madre lo rimproverava ad ogni pasto, per costringerlo a mangiare? Ogni mattina assisteva alla s. Messa e si comunicava, o nella chiesa delle Benedettine, dove molto spesso si recava, o dai Lazzaristi. Il resto della giornata era dedicato al lavoro. Riposava poco ed era un riposo duro perché accanto ad un buono e soffice letto egli si metteva a dormire sul pavimento. Noi poveri peccatori non potevano comprendere tutte le sue mortificazioni, mentre verso gli altri era così buono, così mite. I poveri e gli operai erano la sua principale preoccupazione. Faceva parte dell'associa­zione di S. Vincenzo de' Paoli e si occupava di una povera famiglia che spesso visitava e aiutava dalla sua modesta borsa di studio. Nelle grandi feste andava da questi suoi conoscenti e poi con loro assisteva alla s. Messa e faceva la Comunione. Credo che anche costì lo venerino. Negli studi riusciva bene e lo meritava, ma non si è mai vantato di questo. Abbiamo dovuto apprenderlo da altri studenti. La mia povera mamma era per questo molto contenta e così orgogliosa di lui e quando egli portò a casa il suo diploma piegato in quattro, ella ebbe timore che lo rovinasse, perciò lo rimproverò di quello che aveva fatto piegando il diploma. Gli disse: «Se Sua mamma vedesse che cosa ha fatto del diploma, non sarebbe contenta, perché per i Suoi genitori questo sarà un ricordo del Suo faticoso lavoro a Parigi». E il nostro caro Ivan rispose: «Oh, signora, questa carta non ha alcun valoro agli occhi del buon Dio». Vi ricordo questo tratto, signor professore, tra tanti altri, per farvi presente la sua modestia e il suo amore di Dio. Da questi pochi particolari vedrà che egli è ugualmente rimpianto a Parigi e a Zagreb da tutti coloro che lo hanno conosciuto, ma che sperano ch'egli dal Cielo dove certamente ora si trova, intercederà per loro presso Dio e otterrà a loro varie grazie per l'anima e per il corpo, perché anche se era duro con se stesso, non lo era con i suoi fratelli. Gradisca, signor professore, l'espressione della mia alta stima

                                                                                                                                        J. Michaut    

 

                                                                           2

 

           Estratto da E. Beaupin, Yvan Merz, in "Les Amitiés Catholiques Françaises" del 15.VI.1928, pp. 2-5.

 

           Mons. Beaupin, directeur du Comité Catholique des Amitiés Françaises à l'Etranger, il cui presidente era mons. A. Baudrillart, è stato il punto di riferimento per Merz durante il suo soggiorno a Parigi. Dopo la morte di Ivan mons. Beaupin scrisse l'articolo dal quale riportiamo solo la parte in cui l'autore ricorda quel periodo e dà un giudizio globale sulla virtù di Merz, che considera non comune.[1]  

 

           “En 1920, le "Seniorat catholique croate" l'envoya à Paris, avec deux de ses camarades, pour y prendre contact avec les organisations catholiques françaises et y suivre les cours de l'Institut catholique.

           C'est à cette époque qu'il entra en relations avec nous, au moment même où nous commencions à grouper les étudiants catholiques étrangers, nos hôtes, dans les Cercles divers que nous avions fondés pour eux.

           Durant les deux annnées qu'il passa en France, Yvan Merz fut de toutes nos réunions et s'associa à toutes nos initiatives. Il ne se passait guère de semaines, sans qu'il rendit visite et vint causer avec nous. Il se montrait avide de recueillir des renseignements sur tout ce qui touchait à l'activité catholique française, aussi bien religieuse, qu'intellectuelle ou sociale. En même temps, il s'appliquait à nous faire connaître et aimer son cher pays que tant d'entre nous ignoraient encore. […]

           Mons. Beaupin accenna al suo viaggio in Slovenia e in Croazia, nel 1922.

           Durant notre séjour à Zagreb, le professeur Marakoviæ et lui furent pour nous les hôtes les plus prévenants et les plus empressés. Que d'heures charmante nous avons consacrées ensemble, non seulement à des visites officielles ou à des excursions pittoresques, ou aux réceptions amicales qu'ils nous avaient ménagées, mais encore à des causeries plus intimes où se révéla véritablement à nous, dans sa transparente beauté, toute l'âme ardente et enthousiaste d'Yvan Merz.

           Sous des dehors très réservés, sous des allures presque timides, qui étaient voulues par sa modestie et son humilité, il cachait un coeur vibrant et chaud, tout brûlant du plus sincère attachement pour l'Eglise, pour sa patrie et aussi pour la nôtre. Avec quelle curiosité passionnée il nous interrogeait alors sur le passé et sur le présent catholique de notre pays; sachant que nous avions été mélé nous-même aux mouvements de jeunesse qui fleurirent chez nous entre 1900 et 1910, il nous en faisait conter l'histoire, l'écoutant avec une étonnante avidité.

           C'est qu'il poursuivait un grand dessein: celui de travailler à donner à la jeunesse yougoslave catholique une organisation et une formation qui lui permissent d'exercer, autour d'elle, un apostolat religieux et social fécond. Ayant vécu en France, dans les rangs mêmes de la jeunesse catholique française, c'est parmi elle qu'il cherchait des exemples et des modèles. Il nous l'a dit et écrit bien souvent, il ne concevait l'apostolat social que comme le fruit d'une vie intérieure solide, d'une forte éducations du caractère et d'une vraie culture de l'esprit, le tout soutenu par un sens catholique dont le premier signe était, à ses yeux, l'amour de la Sainte Eglise et la fidélité au Pape.

           Tel était, chez Yvan Merz, le chrétien d'une trempe rarement égalée, chez un aussi jeune homme. En toute verité, c'est cette valeur chrétienne qui, perfectionnant sa valeur professionnelle, a fait de lui le remarquable professeur qu'il fut, auquel tous ceux qui l'ont vu à l'oeuvre ont rendu un unanime hommage.” […]

           Mons. Beaupin termina il suo abbastanza lungo scritto con le parole di un amico di Merz, il quale, informandolo sul funerale di Ivan, agiungeva: "Il a vécu, il a souffert, il est mort comme un saint". E Beaupin si associa a questa testimonianza:

           Nous ne croyons pas, pour notre part, qu'il soit en aucune manière exagéré de pronnoncer, au sujet d'Yvan Merz, les mots de vertu peu commune. Ils traduisent à notre témoignage l'exacte vérité.

            

                                                                           3

 

           Dr. Ðuro Graèanin, I miei ricordi sulla personalità del dr. Ivan Merz, Sarajevo 1933.

      

           (L'autore di questo opuscolo[2] crede necessario scusarsi con gli egregi lettori perché, parlando della personalità del dr. Ivan Merz, deve coinvolgere nel racconto una cosa che gli è soprattutto ripugnante: il proprio "io". Senza falsa umiltà, chiede a tutti di perdonargli benevolmente questa goffaggine.)

 

        Era una giornata piovosa d'ottobre quando nel 1920 per la prima volta incontrai Ivan Merz. A Zagreb, sulla Piazza Jelaèiæ, alcuni giorni prima della nostra partenza per Parigi, ci siamo incontrati noi tre giovani studenti per concordare i dettagli del nostro viaggio. Ricordo bene quell'incontro. Era di pomeriggio, Šæetinec ed io arrivammo quasi insieme, poco dopo apparve anche Merz. ... Di discreta statura media, capelli biondi, occhi azzurri, fronte alta, faccia che si restringeva lentamente vero il basso. Quel primo incontro mi fece una insolita impressione. Mi parve di avere davanti a me un uomo di indole molto mite, quasi di bambino, e al tempo stesso un uomo molto ben formato, uomo che sa quel che vuole, uomo molto deciso. Questa caratteristica della personalità di Merz, questo apparente contrasto, che in un primo momento avevo sentito, non era inesatta, essa - come più tardi mi resi conto - era la caratteristica principale della sua personalità. Mitezza e fermezza - queste due virtù apparentemente contradittorie mi hanno impressionato maggiormente nella vita di Merz e hanno dato alla sua personalità quella particolare fisionomia spirituale che ha lasciato tra di noi un così forte e bel ricordo.

        Già durante il viaggio a Parigi non ho potuto non ammirare questi tratti della personalità di Merz. Socievole e condiscendente fino al limite estremo, egli si mostrava insolitamente deciso nell'attuazione dei suoi propositi. A Venezia, dove facemmo la più lunga sosta, egli ha subito comprato una pianta della città e in pochi minuti ha fatto il programma di quel che voleva vedere. Sapeva l'italiano per cui poteva orientarsi più facilmente di noi, ciononostante io non potevo capire la sua determinatezza con cui egli, dopo una notte insonne, destava il suo spirito per rivolgere l'attenzione su mille particolari artistici, che in quella vecchia, gloriosa città incontravamo ad ogni passo. Pensai di essermi sbagliato ritenendo Merz un uomo mite, sensibile. No, questo è forse un freddo Tedesco, senza riguardi, dicevo fra me, non immaginando quanta grandezza spirituale si nascondesse sotto questa inflessibile coerenza. L'altro collega ed io stavamo diventando impazienti per la stanchezza. Merz se ne rese conto e cercò di calmarci, ma anche in questo suo tentativo noi leggemmo la sua determinatezza di realizzare il suo programma. Era così convinto del valore delle opere artistiche che gli erano accessibili, da non badare ai sacrifici richiesti per raggiunger­le. Noi naturalmente non lo immaginavamo.

        I tratti teneri e delicati della sua faccia ci dicevano che avevamo davanti a noi un uomo molto giovane e, d'altra parte, il suo comportamento negava questo pensiero. Non sapevo che cosa pensare di lui. Era enigmatico ed incomprensibile.  E poiché ciò feriva il mio egoismo, mi era anche alquanto scostante. Mi respingeva da lui anche il fatto che egli non parlava affatto di sé. Che avesse delle cose da dirci su se stesso, lo testimoniano i suoi diari; aveva dietro a sé tutta la vita al fronte, una vita che pochi riescono a non menzionare, aveva alcuni anni di lavoro e soggiorno a Vienna, ma di tutto ciò egli taceva. Nel vagone, è vero, ha conversato di tante cose, ma spesso interrompeva la conversazione per una o due ore, per pregare e meditare. In verità non pensavo che pregasse così a lungo, perciò cominciai a ritenerlo un uomo silenzioso e riservato. Di lui già mi formavo il concetto di un freddo Tedesco, riservato, chiuso e forse incapace di rivelarsi davanti agli altri, mentre nemmeno presentivo la sua vita soprannaturale.

        Ma che sorpresa, che colpo a questo mio concetto, quando arrivammo a Parigi! Non si può nemmeno parlare di qualche ritiratezza. Merz fermava i passanti - per me, con una audacia meravigliosa - per chiedere varie informazioni, su qualche via, chiesa, edificio. I Francesi, è vero, si mostravano molto gentili nei nostri riguardi; avevano visto che eravamo stranieri, tuttavia non potevo comprendere il coraggio di Merz nel fermare qualcuno ogniqualvolta ne avesse bisogno. Più tardi, durante il nostro soggiorno parigino, cento volte mi sono chiesto come egli potesse intervistare così la gente. Non gli manca forse la sensibilità? Anche in questo mi è rimasto enigmatico, ma l'enigma mi si è chiarito quando nella sua "Vita", tra i propositi da lui fatti a Parigi ho trovato queste parole significative: Andare nelle situazioni scomode. Allora ho capito chiaramente perché Merz andava sempre là dove era sgradevole andarci, perché per sé sceglieva quello che a nessun altro piaceva.

        Non era il caso di parlare di una qualche riservatezza neanche sotto qualche altro aspetto. Egli è penetrato incredibilmente presto nei più forti circoli intellettuali di Parigi, ha fatto presto conoscenza con una serie di letterati, filosofi ed altri intellettuali. In breve tempo ha studiato un gran numero di organizzazioni cattoliche francesi. Benché da principio neanch'egli conoscesse perfettamente il francese, non esitava ad entrare in conversazione con chiunque. Non lo disturbavano quelle piccole, talvolta anche grandi umiliazioni, che uno inevitabilmente prova mentre si serve della lingua che non conosce bene. Forse a qualcuno ciò sembrerà cosa da poco, ma se si pensa che Merz si trovava in tale situazione ogni giorno, che in un giorno sapeva intervistare dieci e più personalità, allora potremo almeno intuire la grandezza di questo suo comportamento.

        Merz non era nemmeno chiuso (taciturno). Volentieri parlava, amava discutere di problemi seri per ore, anzi per giorni interi, pur di arrivare alla verità, ciò che per lui era più importante di tutto. Così la sua personalità si mostrava di nuovo in un'altra luce, per me inaspettata. Era tenace nel difendere le sue tesi, ma con quale umiltà, con quale edificante mitezza, è difficile dirlo. Ricordo in modo particolare una di quelle lunghe nostre conversazioni. Una domenica mattina ben presto siamo andati in gita fuori Parigi e subito abbiamo iniziato a discutere di un problema di cui io, del resto, non avevo la minima idea. Ma, come i giovani spesso fanno, per puro bisogno di esercitarmi nella logica, contestavo la tesi di Merz. Con grande tenacia, piuttosto dal lato formale confutavo le sue affermazioni, e quando alla fine della giornata il dibattito non era ancora chiuso, Merz - sebbene certamente avesse avuto ragione - disse con modestia e come se fosse convinto: «Tu sei forse più intelligente di me, per cui io non riesco a darti una adeguata risposta». Egli che era certamente un intellettuale forte e che era più anziano e più istruito di me, ha concluso quella conversazione dando ragione ad uno più giovane, del tutto ingiustificatamente.

        Questa è stata una sorpresa per me. Ma ben più sorpreso sono rimasto in un'altra circostanza, quando una o due ore dopo un altro colloquio venne per dirmi con una mirabile semplicità e umiltà: «Senti, quello che Ti ho detto, ho mentito. Le cose non stanno così». - Lo guardai e mi apparve così meraviglioso come mai mi era apparso. Riconoscere in quel modo, davanti ad uno più giovane il proprio errore!...No, non è possibile - dicevo tra me. E' un sogno? - Come, cosa dici? - «Ti dico che quello che ho affermato non è vero», ripeté Ivan. Volevo abbracciarlo, perché questa confessione d'un tratto mi fece vedere tutta la grandezza della sua anima. Mai nella vita fino allora - e nemmeno dopo, devo riconoscerlo - ho sperimentato una cosa del genere. E' normale che la gente cerchi di nascondere i propri sbagli, quest'uomo invece d'un tratto accusa se stesso di qualcosa che certamente non era una bugia, ma che egli nel suo animo odiava come se fosse tale. Quest'uomo disprezza se stesso, mi dicevo. Come un bagliore del sole nella nebbia - ma solo per un momento - mi si mostrò tutta la grandezza della sua anima.

        Probabilmente ero troppo giovane per penetrare nella profondità di quest'anima. Merz continuava ad essere per me un enigma. Mi chiedevo perché, avendo riconosciuto di non aver detto il vero, non diceva di sé qualcosa di bene? Volevo sentire di lui qualcosa di bello. Volevo che mi parlasse di sé, ma egli lo evitava sempre. E solo più tardi ho trovato la soluzione di questo enigma nelle sue annotazioni di Parigi, dove tra i propositi figura: «Mai parlare di sé». «Non parlare della propria sofferenza». In genere «parlare il meno possibile». Per principio, dunque, non voleva inutili conversazioni, specialmente non voleva parlare di sé, e quando menzionava se stesso, non lo faceva mai per lodarsi. Perciò mi rimaneva ancor sempre alquanto incomprensibile.

        Mi domandavo se sullo sfondo di questa umiltà non ci fosse un uomo che mancasse di senso per le forme esteriori, ma nemmeno questo era vero. Merz era elegante anche nel suo comportamento esteriore. Sempre fine, sempre impeccabilmente vestito, ad ogni passo egli tradiva un vero gentleman. Verso tutti era servizievole e non ricordo ch'egli abbia mai rifiutato un servizio per cui l'avessi pregato. Pensavo di nuovo: questo è un tipo tedesco, forse anche Tedesco per convinzione, con tutta l'anima. Ma presto mi convinsi che mi sbagliavo anche in questo. Egli era Croato, e un Croato così formato che questa sua nazionalità egli la difendeva come se stesso.

        In una occasione si trattava che i Croati partecipassero ad una manifestazione cattolica internazio­nale a Parigi sotto un'altra bandiera, i cui colori sono disposti in modo un po' diverso che non nella nostra bandiera croata.[3] Merz non ne volle sentire. Noi Croati siamo un popolo con storia millenaria - diceva - e sarebbe una vergogna per noi non mettere in vista la nostra bandiera. La bandiera diversamente sistemata era già pronta, ma all'ultimo momento - se non mi sbaglio - Merz l'ha rovesciata e portata come bandiera croata.

        Nelle questioni di principio Merz in genere era inflessibile. Ciò che egli aveva conosciuto come vero, come bene, lo seguiva senza alcun riguardo. Si potrebbe dire che le alte mete lo attiravano in modo irresistibile e che cercava di raggiungerle senza guardare a destra o a sinistra. Ciò si notava in tutta la sua vita, ma soprattutto lo si sentiva nel suo lavoro per la propria santificazione.

        Come ho già rilevato, egli era di costituzione delicata, tuttavia disprezzava il suo corpo come pochi altri. Non voleva prendere la prima colazione. Carne non ne magiava per mesi, benché lo studio lo stancasse. Sempre, dopo pranzo - mi ricordo bene -, anche quando alla fine c'erano dei dolci, egli, per penitenza, prendeva un po' di pane e lo mangiava solo. Quando gli dicevamo che faceva ciò per motivi ascetici, non volle mai riconoscerlo, ma per lo più taceva alle nostre osservazioni. Ci lasciava ammirati con la sua mortificazione. Infastidiva, è vero, l'anziana signora che ci preparava i pasti, perché non mangiava carne, ma egli non volle cedere. Da principio le diceva: «Madame, je vous prie ne vous fâchez pas». Ma quando la signora per compassione verso di lui continuava a inquietarsi, egli taceva, diventando rosso come se fosse colpevole, ma non cedeva. Il Venerdì santo semplicemente scompariva, lasciando un biglietto alla signora e scusandosi perché sarebbe stato fuori tutto il giorno. La signora ne sapeva la ragione: egli aveva deciso di non mangiare niente tutto il giorno. Del resto, accadeva quasi tutti i mesi che una volta per 24 ore non prendesse nulla, solo che nascondeva ciò più abilmente.

        I suoi difetti involontari - ne aveva anche lui - li correggeva così visibilmente, così impietosamente li strappava in modo che Šæetinec, ammirato, spesso mi diceva quando eravano soli: «Senti, questo Merz ogni giorno diventa più perfetto». E allora mi raccontava delle sue diverse mortificazioni, delle nuove forme di queste che egli intraprendeva. La signora, presso la quale abitavamo, ha raccontato che più volte ha trovato intatto il letto di Ivan: egli dormiva sul pavimento accanto al letto. E al mattino presto si alzava e lavava tutto il corpo in acqua fredda. Al pranzo aveva cominciato a mortificarsi così: smetteva di mangiare quando evidentemente sentiva più gusto.

        Come fosse duro verso se stesso, lo testimonia anche il seguente episodio. Un giorno d'estate, quando a Parigi la temperatura all'ombra raggiungeva i 40 gradi  e quando gli alti edifici parigini avevano racchiuso in sé tutto quel calore per renderlo ancor più insopportabi­le, e quando la metà della popolazione parigina era fuggita nei dintorni per rinfrescarsi un po', Merz rimase a Parigi.[4] Egli allora studiava la conversione dello scrittore francese Huysmans e voleva in quel calore passare le stesse vie che erano legate a quella conversione. Egli aveva bisogno di comprendere il meglio possibile il lato psicologico della conversione di Huysmans e perciò credeva necessario meritarlo con un così grande sacrificio!

        In un'altra occasione, l'8 maggio 1921, eravamo andati insieme alle celebrazioni di Giovanna d'Arc a Orléans. Quando vi arrivammo tutte le stanze negli albergi e nelle abitazioni private erano occupate. Fummo costretti a pernottare in una casa semplice, un po' fuori della città. La stanza però, che ci fu offerta, puzzava così terribilmente che non potei rimanervi un momento. Anche a Merz l'odore era terribile, tanto più che egli subito ne aveva riconosciuto la provenienza. Egli tuttavia vi rimase vincendo la sua ripugnanza.  Così, dovunque potesse, Merz abbracciava la mortificazione e i sacrifici che gli si imponevano.

        Questi, naturalmente, sono soltanto alcuni casi straordinari della mortificazione di Ivan. Ma nella sua vita quotidiana le morificazioni erano ben più numerose. Non posso non menzionarne una: la parsimonia nell'uso del tempo. Benché ai conoscenti sapesse dedicare parecchio tempo, così che nei suoi rapporti con gli altri non c'era nulla di innaturale, nulla di sbrigativo, nulla di forzatamente frettoloso, tuttavia era molto parsimonioso nell'uso del tempo. Sfruttava ogni minuto libero. Ricordo in particolare quei momenti quando alla tavola, stanchi ed esausti dalle lezioni, aspettavamo per alcuni minuti il pranzo e Merz tirava fuori il suo quaderno con le parole francesi e imparava! Sapeva stimare, come tutti i grandi spiriti l'immenso valore dei fuggevoli minuti della vita terrena e perciò con grandi sforzi e notevole mortificazione li sfruttava.

        Quanti altri sacrifici in altri campi Merz abbia fatto, lo sa solo lui e il buon Dio. Stando ai propositi che fece a Parigi e che contengono 21 punti, si deduce che egli faceva molte cose che sono rimaste nascoste ai nostri sguardi. Non leggiamo lì anche questo: «Talvolta procurarsi volontariamente, di nascosto, un dolore»? Una volta, nemmeno sapendo che cosa avessi nelle mani, involontariamente aprii le prime pagine di un suo quaderno, dove egli, probabilmente per esercitarsi, annotava i propri sacrifici: esse erano piene di trattini.

          

        Questa impietosità verso se stesso poteva far credere a qualcuno non informato che Merz fosse un'anima insensibile. Il modo con cui trattava se stesso assumeva talvolta l'aspetto di una certa rozzezza, di una certa crudeltà, con cui - per così dire - colpiva se stesso senza alcun riguardo. Osservando questa sua crudeltà qualcuno poteva temere di essere investito da essa, ma ciò non è mai accaduto. Solo raramente accadeva che Merz dimenticasse che l'ardore con cui perseguitava se stesso potesse forse causare un po' di disagio ad altri. Così chi con lui visitava i musei, poteva rimanere esausto, come era accaduto a Venezia. Ma col tempo sempre più stava attento anche a questo. Non appena si accorgeva che le esigenze che egli imponeva a se stesso, erano troppo grandi per gli altri, non chiamava gli altri a seguirlo. Perciò le cose più difficili le faceva da solo.

        La signora che ci preparava i pasti lo riteneva alquanto inumano a causa delle sue austerità. In realtà egli era tale solo verso se stesso. Verso gli altri era mite, ogni giorno più mite. Aveva comprensione per tutti, per le necessità dei colleghi come anche per quei poveri parigini che egli subito amò. Si iscrisse e iscrisse anche noi alla Conferenza di S. Vincenzo, allo scopo di visitare ed aiutare i poveri. Infatti, ciascuno di noi doveva regolarmente visitare una famiglia povera parigina e aiutarla secondo le proprie possibilità. Una volta Merz era impedito di far visita alla sua famiglia e mi prego di sostituirlo. Solo allora venni a sapere che cosa si poteva e si doveva fare ai poveri. Quella povera famiglia non trovava parola per elogiare Merz e la sua bontà.

        L'interessamento di Merz per le necessità degli altri mi lasciava sempre ammirato. Egli aveva davvero il cuore grande di un cristiano convinto, per il quale tutti gli uomini sono fratelli. Quante volte, mentre io ero a Parigi ed egli a Zagreb, mi raccomandava certe persone che anch'egli aveva solo per caso conosciuto. Le parole con cui mi pregava di far loro qualche servizio avevano un tono così caldo come se si trattasse di qualuno dei suoi. Egli amava la gente bisognosa di aiuto, così profondamente che spesso mi domandavo: da dove gli viene questo amore? Perché egli ama tanto gli altri e come puo', in mezzo a tutto il suo lavoro, interessarsene?

        Quasi più che i poveri, Merz amava coloro che nei suoi riguardi avevano sentimenti contrari. Non dimenticherò mai il colloquio che ebbi con lui a Zagreb, quando alcuni anni dopo il nostro comune soggiorno a Parigi era in atto la grande lotta intorno ai principi dell'Azione Cattolica. In quel tempo io vivevo a Parigi e mi erano ignote tutte le peripezie di quella lotta. Avevo solo sentito che Merz era molto attaccato, perciò quando lo incontrai, lo pregai di raccontarmi qualcosa in proposito. Ciò avvenne nel tempo quando anche i migliori sapevano perdere l'equilibrio. Abbiamo dunque parlato di coloro che lo attaccavano di più, che - secondo quanto si diceva - lo denigravano con un certo odio. E quando, sorpreso per tutte queste notizie, io lo interruppi dicendo: «Come, tale è il nostro cattolicesimo? Che uomini sono questi?» - «Sono buoni», rispose Merz. «Essi si confessano e fanno la Comunione... Solo non si rendono conto di certe cose». Ed è rimasto su questa affermazione, volendo ad ogni costo essere mite nel giudicare quelli che non gli volevano bene...

        Questa fermezza nella mitezza era quello che impressionava di più anche il suo padre spirituale a Parigi, p. Pressoir, che anch'io, per suggerimento di Merz,  avevo scelto come direttore spirituale. Per sette anni in cui sono stato in contatto con lui, egli di preferenza parlava di questo lato di Merz. Mi raccontava: «Siccome ero molto occupato, spesso dicevo a Merz di venire un'altra volta, ma egli non si inquietava per questo». «Bene, verrò un'altra volta», diceva e ritornava di nuovo. Spesso aspettava molto a lungo, finché non finisse la fila dei seminaristi, ma ciò non lo disturbava.[5]

        Quanto più progrediva, tanto più la mitezza di Merz cresceva, così che anche coloro che da principio lo avevano creduto inumano, dovevano ammirarlo. Due o tre anni dopo la partenza di Merz da Parigi, l'anziana settantenne signora Michaut era malata. Una mattina arrivò da Zagreb Merz e quando seppe che l'anziana signora stava male, si recò subito al suo letto, la abbraciò e baciò come sua madre. L'anziana signora rimase così sorpresa, così commossa di questo gesto di Ivan che non sapeva se piangere o ridere. Dopo, quando stette un po' meglio, parlava solo di questo, come Ivan era cambiato...

        Ma Ivan non era cambiato. Egli soltanto era progredito, tanto che anche quello che gli era odioso o difficile lo poteva compiere con la massima calma ed eroica mortificazione.

 

        Queste sono solo le caratteristiche esterne della personalità di Merz, ma il vero Merz era nascosto ai nostri occhi, egli era immerso in Dio, nascosto nella misteriosa vita soprannaturale, così che dove egli viveva non poteva penetrare l'occhio del miglior psicologo. Tutti i giorni ci recavamo insieme alla S. Comunione, ma che cosa Ivan dicesse al suo Dio, è rimasto un suo segreto. Mai con una sola parola ha voluto tradire (il fatto) che conduceva una superiore vita soprannaturale. Tuttavia era evidente che egli attingeva la sua forza e la grande mitezza ad una fonte soprannaturale. Si sentiva che egli amava molto Cristo e che con Lui era in continuo contatto. Non poteva passare davanti ad una chiesa senza far visita al suo Gesù almeno per un momento. Viveva per Gesù. Meditava tutti i giorni, ma con tale serietà che tutto il mondo soprannaturale per lui era una grande, viva realtà, nella quale egli era entrato diventandone  per così dire una parte. Quando più tardi venivo a Zagreb e al mattino presto entravo nella chiesa dei gesuiti, vi trovavo sempre Ivan genuflesso e a mani giunte come un bambino, non appoggiato al banco. Era tutto assorto in Gesù che aveva ricevuto o stava per ricevere e come se non notasse nulla intorno a sé. Per tutto il tempo non batteva le ciglia e quando io alla fine osavo avvicinarmi a lui, sembrava come se lo tirassi fuori dal sonno.  Tuttavia non se la prendeva con me, mi accoglieva sempre con cordialità e mi conduceva a casa per un colloquio, durante il tempo che gli rimaneva a disposizione prima delle lezioni scolastiche.

        La sua pietà non toglieva nulla alla sua umanità. Al contrario, quanto più perfetto era soprannaturalmente, tanto più apparivano anche le caratteristiche umane della sua indole. Quanto più santo, tanto più era uomo. In lui sempre di più si disegnava una personalità insolitamente forte, che verso la fine della vita, senza che egli lo abbia in alcun modo cercato, occuperà un posto centrale nelle nostre file cattoliche. Identificando sempre più la sua vita con Cristo egli infatti alla fine sarà così unito a Lui che alla vigilia della morte sarà tutto di Cristo. Immerso in Dio, egli si era unito a Lui con tutta l'anima e quando venne la morte a bussare alla sua porta egli con calma le porse la mano.   

        Con quale calma! L'ultima volta io l'ho incontrato nell'ottobre del 1927 - esattamente sette anni dopo il nostro primo incontro. Sotto l'occhio accanto al naso aveva una macchia scura: segno della suppurazione interna... Non avevo la forza per dirgli che cosa ne pensassi. «Cura questo», gli dissi. «Fatti operare, se è necessario». «Lo so», mi rispose interrompendo se stesso...Come se già in qualche modo presentisse la fine fatale.

        Lo guardavo a lungo, a lungo. Il suo aspetto spiritualizzato palesava un uomo che in qualche modo era già nell'altro mondo. La sua faccia aveva acquistato un qualcosa dei lineamenti di certe figure di santi: I tratti della faccia sembrava si perdessero da qualche parte nell'etere. Invano cercavo di precisarne la forma, essi scomparivano...

        Quando la volta successiva venni a Zagreb, non andai nella chiesa dei gesuiti per vedere Merz inginocchiato. Mi recai al Mirogoj dove era la sua tomba. Il grande sepolcro con la croce bianca su di una lastra di marmo nero, sulla quale si leggeva l'epitaffio da lui stesso scritto alla vigilia della morte: «Per lui Cristo era la vita e la morte guadagno, perché attendeva la misericordia del Signore e l'eterno riposo sul Cuore di Gesù».

        Un po' di fiori freschi ornavano il sepolcro. Nel triste e solenne silenzio di Mirogoj, quella tomba non sembrava triste. Era come se non parlasse della morte ma della vita, di una vita bella, serena e adesso meravigliosa per l'eternità. Sì, qui giace il dr. Ivan Merz, ma davvero con il suo corpo marcisce tutto lui? No, no. La sua immagine sembra essere sospesa sulla tomba e, invisibile, raccontare una grande vita condotta sulla terra, e quella ancor più grande che ora conduce. Volevo pregare per lui, ma la bocca ha rovesciato le parole ed ho pregato lui...Illusione o sogno? No, ma realtà. Merz è vivo e la sua personalità non è sepolta, essa vive per illuminarci col suo esempio, essa vive per aiutarci con la sua intercessione, essa vive per essere guida alla giovane classe intellettuale croata nel lavoro per i grandi ideali di Cristo e della Patria.

 

 

 

 


 


    [1] Con lettera del 3 marzo 1931, mons. Beaupin rispondeva a una serie di domande che gli aveva posto il padre di Ivan Merz con lettera del 2 febbraio precedente. Le domande evidentemente erano in relazione alla biografia di Merz, che il prof. Kniewald stava scrivendo. «Pour reconstituer la vie de Jean à Paris, il me faudra vous faire un exposé de la manière dont j'avais organisé en 1920 et 1921 les réunions et conférences auxquelles Jean a participé et dont il parle dans ses letteres, citées dans le manuscript que vous m'avez envoyé. Cela m'oblige à reprendre la collection de notre Revue, pour y retrouver les renseignements nécessaires. Vous le voyez, la documentation dont je dispose est notable et  importante. Je m'efforcerai de vous la transmettre, mais il me faudra du temps pour la mettre en oeuvre. Je crois même pouvoir vous dire que la biographie sera fort incomplète s'il n'est pas tenu compte de cette documentation». - Abbiamo sollecitato il Postulatore della Causa di Ivan Merz di fare delle ricerche per rintracciare l'eredità archivistica di mons. Beaupin, ma non si è riusciti a trovare niente. Comunque, l'insieme della documentazione utilizzata per la stesura di questo capitolo ci offre una visione più che sufficiente della vita e dell'attività di Ivan Merz in Francia.

    [2] Sull'autore di questi ricordi vedi sopra, nota 3.

    [3] I colori della bandiera croata sono (dall'alto in basso): il rosso, il bianco e l'azzurro; quelli della bandiera jugoslava: il blu (azzurro), il bianco, il rosso. Graèanin si esprime in modo un po' sfumato, perché egli pubblicò i suoi Ricordi nel 1933, al tempo della dittattura di re Alessandro, quando la bandiera croata era proibita.

    [4] Questo è avvenuto durante le vacanze del 1921, quando sull'Europa gravava una terribile "ondata di caldo".

    [5] Qui introduco una piccola digressione. Talvolta sono state espresse le opinioni, secondo cui sarebbe stato il suo padre spirituale a Parigi ad indurlo a quelle crudeltà verso se stesso, di cui abbiamo parlato. Ciò non è esatto, certamente. P. Pressoir ammirava la formazione di questo giovane e se ha esercitato su di lui un qualche influsso, ciò sarà stato piuttosto nel senso contrario, proibendogli le penitenze troppo severe, come del resto faceva con altri suoi penitenti.