Capitolo VI

 

SERVIZIO MILITARE

(marzo 1916 - febbraio 1917)

 

 

 

B. ivan merz, Novo doba (I tempi nuovi).

 

            Qui riproduciamo l'articolo di Merz che egli allegò alla lettera inviata al prof. Maraković nei primi giorni del 1917. Il 7 maggio, poi, scrivendo all'amico Bilogrivić a Sarajevo lo pregava di chiedere al prof. Maraković l'articolo Novo doba e di portarlo ai suoi genitori a Banja Luka. Nel febbraio 1919 Ivan lo leggerà nel circolo accademico "Hrvatska" a Vienna e lo farà stampare nella rivista "Zora-Luč" 1918/19, num. IX-X, pp. 210-214.

 

 

                                                                                                              Ecce in cruce totum constat

                                                                                                                et in moriendo totum iacet.

                                                                                                                       De Imit. Christi, II, 12.

 

            La vita è terribile, il dolore, la sofferenza e il male in continue varianti la compenetrano e la caratterizzano. Dove cessa il dolore scompare la vita, nasce il dubbio e il peccato. Lo confermano le grandi epoche nella storia dell'umanità e le rispettive grandi opere d'arte. Queste sono il riflesso della sofferenza, per mezzo di esse possiamo sapere quanto e come i popoli in quel tempo hanno sofferto.

            Quando l'uomo si è procurato sufficienti mezzi per una vita comoda, così da non dover lottare per la propria sussistenza, è sorto il dolore dello spirito che riflettendo arriva a sentire il carattere tragico della vita umana: la mancanza della conoscenza e l'orrore del peccato. Le epoche che rappresentano questa visione della vita sono decadenti in senso cristiano.

            Il dolore non manca mai nel mondo. Come le onde marine durante la bonaccia accarezzano la spiaggia e, quando vengono i venti, tutto inondano, sparpagliano e sconvolgono, così il dolore in tempo di pace assale quelli che gli sono più vicini, ma quando la tempesta investe l'umanità, allora il dolore si effonde e scuote tutto per lungo e per largo. Chi ha frequentato le abitazioni di operai e osservato il lento morire di quegli uomini infelici è convinto di questo. E come stanno le cose adesso?

            La guerra infuria come la bora, il sangue rosso, caldo esce dalle ferite di uomini vivi che nella lotta mortale invocano la madre lontana e si sforzano di raccogliere nel pensiero quel poco di fede che nella fretta del mondo già da tempo hanno dimenticato. Povera gente senza tetto e ricovero, spesso anche senza coperta, combatte contro gli elementi della natura: pioggia, neve, freddo e fame. Questi popoli nei campi di battaglia si sono già da tempo rassegnati e con poca paura tacendo vanno incontro alla morte. E quanto soffrono quelli che di giorno in giorno hanno fame, pieni di pena e di paura per quelli che sono in pericolo? Quanti uomini che conoscevano solo la felicità sono rimasti scossi da questo dolore che ha dato un nuovo orientamento ai loro pensieri. Il dolore ha creato e crea nuove generazioni.

            Tutta la storia è scritta con il sangue. Le conquiste dello spirito umano, la cultura, anzi le religioni che sono il fattore più importante nello sviluppo dell'umanità - in quanto accanto al giudaismo e al cristianesimo non sono opera di Dio - sono opere dei popoli che soffrono. Il dolore salvava l'uomo dall'ignavia e gli infondeva nell'animo il timore di un dolore ancor più grande e sconosciuto. Chi vuole almeno in una certa misura comprendere il senso della vita e la cultura deve soffrire fisicamente e spiritualmente. I teorici che stanno seduti in una stanza calda ed illuminata consumando un abbondante pranzo, poiché hanno tutto ciò che piace al corpo, non conosceranno mai l'idea della vita. La religione con tutti i suoi dogmi e riti rimarrà sempre un mistero per questi uomini perché essi non comprende­ranno perché esseri intelligenti vadano in templi freddi e umiliandosi fino in fondo preghino inginocchiati sul duro e freddo lastrico. Entrino solo nella vita concreta, passino la notte sotto la pioggia, nel buio terribile, affamati e assetati. Provino arrampicarsi nei valichi sopra i burroni in cui ogni momento possono precipitare, vedano eventualmente giacere immobili centinaia di morti massacrati e sanguinanti, qualcosa di incomprensibile. No so se in tali momenti oseranno affermare che l'uomo è un prodotto della necessità, che l'eterna musica dell'universo è solo strepitio di un immenso mulino azionato dalle correnti del caso, mulino senza costruttore e senza mugnaio, un vero perpetuum mobile, mulino che si macina solo (Novalis). Chi in tali esperienze non cambia la propria visione del mondo, almeno rimarrà in silenzio, con un grande punto interrogativo, come nell'Ultimo Adamo di Kranjčević...[1]

            Bisogna addentrarsi nella vita, nudo come un nato da madre, «senza bastone e bisaccia, senza pane e con una sola tunica», lottare con la natura come l'uomo primordiale. Solo allora l'uomo si renderà conto che la vita non è un sistema filosofico che si scopre nella biblioteca o nello studio, ma che essa è una cosa molto seria e concreta che l'uomo deve personalmente affrontare.

            La stessa vita di Cristo, il quale ha vissuto la lotta di tutta l'umanità e la sofferenza di tutta la storia, chiaramente dimostra che il senso della vita sta nel dolore: mysterium crucis. Il Vangelo e lo sviluppo del cristianesimo sono una epopea del dolore. La vita dei grandi individui è stata solo un verso in questo magnifico poema. «Chi vuole seguirmi, rinneghi se stesso e porti la sua croce ogni giorno», ci viene insegnato in un passo (del Vangelo), e poco più avanti seguono le parole ancora più commoventi che con forza esprimono la tragicità della vita: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli i nidi, il Figlio dell'uomo invece non ha dove posare il capo».

            Quante generazioni nei tempi antichi hanno sentito questo dolore! Quanti oggi hanno sperimentato e capito una parte della storia, hanno finalmente compreso questo capitolo principale della vita di Cristo. Tutta la storia, la vita attuale dell'umanità e dei singoli uomini è intrecciata di tali momenti come un mosaico. Vivere una vita profonda significa «portare la propria croce ogni giorno».

            Amo gli uomini dell'odierna generazione, quelli che hanno sofferto e compreso la serietà della vita. Questi hanno praticamente risolto il problema di Faust. Invano infatti è filosofare in una comoda stanza al chiaro di luna, così non si può scrutare la sfinge della vita. E' facile dire:

            «Habe nun schon Philosophie,

            Juristerei und Medicin

            Und leider auch Theologie

            Durchaus studiert mit heissen Bemüh'n».

 

            E' ancora più facile, rifornito di tutti i mezzi, perdersi nella mischia del mondo e sedurre un'innocente ragazza. Ma se Faust avesse dovuto lottare per il pane quotidiano o se avesse sperimentato il dolore in tutte le sue fasi, probabilmente sarebbe arrivato al risultato a cui sono arrivati molti uomini semplici che sulle proprio spalle hanno portato il peso della storia, morendo anonimi.

            Non è nulla di straordinario star seduti in una stanza calda, circondato da antiquati crani, e senza dolore trasferirsi nell'altro mondo bevendo il veleno da una coppa antica; tutt'altra cosa è soffrire e combattere, inoltre lottare con se stesso. Soltanto allora l'uomo si rende conto che il dolore è il succo della storia, che la fa passare da un'epoca all'altra; che solleva i milioni, crea gli Stati, rovescia i troni e molto efficacemente distrugge il peccato. La morte di Cristo e la storia del cristianesimo realmente e simbolicamente confermano questo pensiero.

            Anche la sofferenza odierna imprimerà i suoi sigilli duraturi alla generazione di oggi. Già si notano le tracce di uomini nuovi che in sé sperimentano una vita profonda e grande.

            La vita di ogni singolo individuo è fonte di tutto. In confronto a questa, l'arte e la scienza e tutto il resto sono cose secondarie. L'arte della vita o la sapienza, come la chiamavano gli Antichi, è quel filo che ritorna costantemente in tutta la storia. Essa ha creato gli Stati e ha dato l'impronta speciale a tutti i rami della cultura. I grandi uomini che anche nei momenti più semplici della vita seppero vivere in modo profondo e disinteressato, nonostante le tendenze contrastanti del corpo e della temporalità, sono gli unici e inesauribili costruttori dell'edificio dell'umanità. Essi sono i creatori della storia positiva. Ci sono sempre uomini di questo genere, essi operano in pubblico e di nascosto. Tutta la cultura, tutte le acquisizioni dello spirito umano sono opera loro.

            Il lato etico della vita diventa attuale, esso è oggi l'unico che conta per la generazione che vive lo spirito di questo tempo. Le questioni estetiche sono secondarie, perché si tratta di vita o di morte, di spirito di sacrificio, di mortificazione ed eroismo. Le orrende immagini dantesche, piene di realismo e di verità: i cadaveri mutilati, la fame, il sangue e i crani riempirono la terra e l'uomo di oggi deve riconciliarsi con tutto questo: deve comprendere il senso di questi orrori e farlo parte della propria visione del mondo. Le questioni estetiche nasceranno come conseguenza naturale di tutti questi grandi problemi, ma non si tratterà di giocattoli carini, "l'art pour l'art", creati da un artista sazio in uno splendido studio o in un parco adornato, che non ha vissuto niente. L'artista non è un uccello che canta quando e come gli piace, l'artista è un sacerdote, profeta, superuomo che promuove le idee del mondo e, come l'Artista primordiale, crea microcosmi, i mondi a sé. Questi sono in armonia con il resto dell'universo, essi manifestano ai non-artisti le sue grandiose opere e idee. Il vero artista non è spinto nel suo tempio di lavoro dallo 'spleen' ma dal sangue e dalle lacrime.

            Se vogliamo avere uno Stato grande, grandi epoche e grandi opere e così compiere il nostro ruolo nella storia, ci sono necessari solo grandi uomini. Ce lo ha detto in maniera commovente il Varga nel suo Artista dell'eterna penna, in modo analogo sviluppa il suo pensiero anche Carlyle: «poiché il vivere in questo mondo è una cosa molto seria, la morte per l'uomo non è affatto uno scherzo, la vita non è mai stata un gioco, ma una dura verità e una cosa molto seria». Consapevoli di ciò comprenderemo la vita, comprenderemo che certi uomini rinunciano al mondo e trovano la felicità nella vita ascetica, nella contemplazione e nel lavoro. Anche per noi l'universo deve essere un monastero, un'officina e un tempio.

            Ciò non è così terribile e incolore come a prima vista potrebbe sembrare, occorre solo cercare di vivere così e la vita sarà piena di felicità, di lavoro e di splendore. Gioiremo guardando questo mondo meraviglioso, la dignità dell'uomo e la bellezza soprannaturale della sofferenza che rende l'uomo padrone della temporalità; ma sentiremo la più profonda gioia scendendo in noi stessi, in quell'altro mondo spirituale, pieno di prospettive e colori, che Novalis ha così bene cantato, -  che è la dimora dei mistici. Questa vita dell'anima è quella vera, immutabile, eterna vita che non conosce tempo né fine. Per noi uomini comuni essa è troppo misteriosa, appena ne siamo consci, ma quando la nostra vita etica sarà più profonda anche i nostri orizzonti si allargheranno.

            L'uomo è molto debole e senza l'aiuto altrui non può fare niente. Perciò Lui dall'eternità è entrato nella storia e, diventando il centro dell'intero macrocosmo, ci ha dato Se stesso per rigenerarci nel corpo e nell'anima. Non dimentichiamo questo immenso amore e prestiamo maggiore attenzione alla piccola bianca Ostia che, solitaria, ci attende nelle chiese fredde. Il mondo vive per sé come se non fosse accaduto questo miracolo dei miracoli, che l'intero macrocosmo con forte anelito ha atteso attraverso eoni (Solovjev!).

            Chi è vissuto o almeno ha cercato di vivere così, certamente ha visto il mondo in una luce ben diversa e ha sentito chiaramente i fili terribili del peccato in cui si è impigliata la società attuale. Bisogna sopportare molte sofferenze (la sofferenza non è uno scherzo!), ad ogni passo  bisogna versare sangue e lacrime per raggiungere almeno una certa perfezione, ma senza il dolore e la sofferenza non c'è nemmeno la vita. Il mistico tedesco Tauler (esatto: Eckehard) dice: «Ricordatevi bene, o voi uomini che meditate, il cavallo più veloce che vi porta alla perfezione è la sofferenza».

           

            Anche noi dobbiamo approfittare di questo gran bene, occorre cercare di educare grandi uomini che renderanno grande anche la patria. Liberare lo spirito dalla temporaneità e con sguardo limpido osservare lo sviluppo della vita: questo dovrebbe essere l'obiettivo di uomini nuovi. Lotta per la perfezione, l'ascesi deve essere il nostro pane quotidiano. Essa ci apre gli orizzonti interiori, ci rende disinteressati, sostiene in noi la lotta contro il male e ci dà forza per non soccombere. L'ascesi ci rende capaci di sopportare il dolore e ci preserva dallo scoramento a cui si sono abbandonati molti davanti alla prima difficoltà.

            In seguito alle nuove circostanze createsi durante la guerra, nella nostra vita pubblica sono apparsi molti dissensi. Essi sono caratteristici per un'epoca di transizione. Da noi si è subito sentito lo spirito della nuova epoca, perché noi davvero viviamo intensamente. Però sono stati varcati i confini: dalle discussioni indispensabili sono nate le polemiche. Lo spirito di debolezza è entrato nelle nostre file, le questioni politiche effimere ci hanno divisi. Abbiamo dimenticato il cosmopolitismo della Chiesa e il suo programma politico costruito attraverso i secoli, fondato unicamente sull'insegnamento di Cristo. L'egoismo nazionale si è infiltrato negli animi infuocati ed essi hanno dimenticato l'umiltà e la mortificazione e si sono messi a mostrare al mondo le proprie virtù, mentre espongono i difetti dei fratelli più vicini davanti al forum di coloro che essi stessi non stimano. Invece di continuare a costruire abbiamo cominciato a distruggere quello che con molta fatica abbiamo creato insieme.

            Dobbiamo quindi dedicare la massima attenzione all'autoeducazione e allo studio del cattolicesimo che noi purtroppo non conosciamo meglio di qualche alunno delle scuole elementari.

            Lo scopo del movimento cattolico nazionale è quello di creare grandi uomini, perché solo essi sapranno orientarsi nelle difficoltà e sopportare con gioia interiore le sofferenze che accompagnano ogni sviluppo, ogni epoca e le più profonde realizzazioni artistiche. «In cruce totum constat et in moriendo totum iacet».  


 


    [1] Silvije Strahimir Kranjčević (cf. sopra, Cap. III, nota 15) compose nel 1896 la lunga poesia Zadnji Adam (L'ultimo Adamo), nella quale parla della morte degli dei e di tutto l'universo, infine dell'ultimo Adamo che prima di spirare scrive con l'unghia sul giaccio il punto interogativo, l'ultimo segno scritto dall'uomo... - Nella liberale "Hrvatska Misao"  (Il pensiero croato), Zagreb 1902, il critico letterario Milan Marjanović dedicò a Kranjčević uno studio in cui, tra l'altro, lo esaltava come "distruttore degli dei ed idoli" ("rušiteljem bogova i idola"; ibid., p. 466). Ciò veniva sottolineato dal sac. Butković nella riunione degli intellettuali cattolici a Rijeka nel 1904 (v. sopra, Cap. II, 1).