C a p i t o l o  II

 

MOVIMENTO CATTOLICO CROATO

 

 

            Nel precedente capitolo abbiamo dato uno sguardo alle condizioni politiche nelle terre croate verso la fine del secolo XIX e nelle prime decadi del secolo XX. Tenendo presente questo quadro generale, presentiamo ora in sintesi la nascita e lo sviluppo del Movimento cattolico croato.[1] 

 

 

SECONDA  PARTE

 

           

            6. Due correnti del Movimento cattolico croato.

           

            Che prima o poi nascessero varie correnti tra i cattolici croati organizzati, nulla di sorprendente; ciò è avvenuto in altri paesi e rientra nella dialettica della storia di simili movimenti. Fin d'ora, però, possiamo affermare che - a prescindere dai sospetti talvolta avanzati nelle polemiche - nel caso del Movimento cattolico croato non fu mai messa seriamente in questione l'ortodossia cattolica, né crediamo si possa fondatamente dubitare della buona fede dei suoi protagonisti. Ciò premesso, possiamo tentare di presentare schematica­mente le divisioni che, purtroppo, saranno un fenomeno costante nel cattolicesimo croato organizzato fino alla Seconda guerra mondiale, ma che - nel quadro di questo studio - interessa soltanto fino al 1928, anno della morte di Ivan Merz.

            Finché l'azione del Movimento cattolico si sviluppava prevalentemente sul piano culturale - filosofico-apologetico-letterario - ("la prima generazio­ne"), i suoi nemici principali erano, ovviamente, i liberal-progressisti; ma quando "i giovani dell'orientamento sociale" cominciarono a interessarsi della questione sociale, il loro approccio ai problemi del popolo non incontrava facilmente la comprensione di quelli, compresi gli ecclesiastici, che avevano ancora una mentalità feudale. Quando però gli uomini del Movimento, con le migiori intenzioni, credettero di dover scendere nel campo della politica, era inevitabile che questa si ripercuotesse sull'unità del Movimento.

            Durante la Prima guerra mondiale, ormai, gli orientamenti della politica croata erano fondamentalmente due: uno che vedeva la soluzione del problema nazionale croato nell'ambito della Monarchia, riorganizzata su base federale, e temeva l'unione con la Serbia; l'altro che non credeva all'Austria e sperava nella sua dissoluzione e nella creazione di uno Stato "sud-slavo".

            I giovani del Movimento cattolico erano per lo più orientati in questa seconda direzione. Petar Grgec, che Velimir Deželić chiama «nostro ideologo»,[2] già all'inizio della guerra non credeva nella vittoria dell'Austria-Ungheria; così pure il suo amico Petar Rogulja e il suo gruppo. Ma nessuno poteva sapere come sarebbe finita la guerra, e in ogni caso l'esito finale non poteva essere deciso dai Croati, i quali dovevano essere pronti per ogni eventualità. I giovani pertanto criticavano quelli del primo orientamento perché non avevano una soluzione per il caso che l'Austro-Ungheria perdesse la guerra. Ma per prendere una posizione come quella di Grgec o Rogulja, occorreva essere in qualche misura "rivoluziona­rio". E una coscienza cattolica educata nel tradizionale spirito di sottomissione all'autorità legittima poteva comprensibilmente sentirsi turbata di fronte a certe posizioni avanzate. Questo dramma di coscienza l'ha provato lo stesso Grgec, ma - come vedremo più avanti - anche Ivan Merz. Mentre Grgec combatteva sul fronte dell'Isonzo - fu perfino decorato per il valore -, nel suo quaderno annotava, tra l'altro, parole dure sul conto dei politici croati che avevano lasciato il popolo in balia dei generali.

            «Che cosa noi Croati possiamo sperare dalla vittoria dell'Austria-Ungheria in questa guerra? Niente! Si ripeterebbe l'anno 1849, quando i Croati con il bano Jelačić furono "premiati" per tutti i loro sacrifici: con la tirannia e l'assolutismo.(...) Nella lotta tra gli Italiani e l'Austria-Ungheria io non so cosa fare. Sto diventando scettico e agnostico - ed è questo che mi tormenta di più.(...) E allora? Non c'è speranza per i Croati? Lasciate ogni speranza! Maledetti, lasciate ogni speranza!»

            E Deželić, nel riferire queste note di Grgec, si chiede:

            «Come queste parole disperate si accordano con la religiosità e con la fede dei giovani cattolici organizzati? Non saprei ora (a distanza di tempo) descrivere le nostre ansie e lotte di quel tempo, perciò trascrivo ancora dal quaderno di guerra di Grgec:

            «Pregavo ogni giorno: O Dio, aumenta la mia fede, una fede prudente, una fede integrale, una fede onnicomprensiva. Pregavo inoltre: Voglio credere tutto ciò che crede ed insegna a credere la santa madre Chiesa romano-cattolica. Dovevo però nell'anima combattere fortemente. La religione romano-cattolica per me è un pilastro prezioso, io ho avuto il compito di piantare questo pilastro nel tempo e nello spazio della mia vita. Il pilastro continuamente traballava, non a causa del pilastro stesso, ma del mio terreno. Bisognava piantarlo più profondamente e intorno ad esso rafforzare il terreno, affinché piogge torrenziali e torrenti non lo sovvertissero. Coloro che detengono il potere, in nome della religione cercavano di caricarci la coscienza con le pretese che provenivano dai vari imperialismi, sciovinismi e particolarismi, e non dal dovere della fede. Molti hanno rigettato tali pretese e con esse anche la fede, non sapendo distinguere. Ho sofferto molto a causa della lacerazione dei cristiani cattolici che celebravano il Te Deum per le vittorie del proprio esercito o facevano processioni per la vittoria del loro esercito. I liberali in tutti gli Stati rimproveravano ai cattolici di essere internazionali - in verità però non esiste alcuna internazionale politica cattolica con il programma per l'ordinamento dell'Europa e del resto del mondo sulla base dei principi cristiani. - Volevo credere che la Provvidenza guidi lo sviluppo dell'umanità, ma non sapevo darmi la risposta alla domanda: Come mai nel mondo si sono affermati quei popoli che erano più forti, mentre i popoli giusti ma deboli sono stati oppressi. Non vale anche per gli uomini la legge che il più forte e rapace mangia il più debole e pacifico? L'amore al popolo croato, l'amore alla Chiesa cattolica mi tormentavano tutti i giorni».[3]

            Quelli che speravano la soluzione del problema nazionale croato nell'ambito della Monarchia e, ovviamente, contavano con la vittoria austro-ungarica, in concreto i c.d. "Frankovci", con i quali si era fuso il Partito dei cristiano-sociali, non sopportavano il modo di scrivere del giornale "Novine". Già nel 1915 il loro giornale "Hrvatska" aveva cominciato la campagna contro "Novine" accusandole di servire agli interessi dei massoni e alla propaganda gran-serba. Rogulja non volle rispondere con contro-denunce, come qualcuno gli aveva suggerito, tuttavia in certi ambienti del Movimento cattolico si auspicava che egli lasciasse la redazione delle "Novine": ad alcuni - dice Deželić - non piaceva questo giornalista «che con la barba e il temperamento ricordava i rivoluzionari russi». Il nucleo del problema è sintetizzato nelle parole che Deželić ripporta tra virgolette, senza indicarne l'autore, ma che esprimono la convizione di Rogulja:

            «Quelli che si appellano alle parole "Ogni potere è da Dio" istillano in molte anime delicate l'incondizionato legittimismo come un obbligo sotto peccato. Bisogna però distinguere tra il potere e la tirannia, come anche tra i diritti divini e i diritti di una dinastia straniera. Sì, credo e confesso che ogni potere è da Dio, ma questo potere è nelle mani del popolo croato che ha il diritto di dire agli Absburgo: Non avete adempiuto ai vostri doveri, non avete osservato le condizioni alle quali vi abbiamo eletto a nostri sovrani, perciò non abbiamo più obblighi verso di voi. Della sorte dei Croati ha il diritto di decidere soltanto Dio e i Croati!»

            Per tale sua convinzione Rogulja dovette lasciare la redazione di "Novine", che passò nelle mani del sacerdote di rito bizantino Janko Šimrak, il quale non cambiò la linea ma lo stile. Rogulja allora andò a Ljubljana dove venne impiegato presso la "Zadružna sveza" (Lega delle cooperative slovene). Verso la metà di luglio 1916 gli fece una breve visita Petar Grgec, venuto dal fronte dell'Isonzo. Grgec si aspettava di trovare un Rogulja ammareggiato e pessimista, invece lo trovò ottimista e disposto a sacrificarsi. In quel momento stava scrivendo l'articolo Pred zoru (Prima dell'aurora), e al Grgec, meravigliato per il titolo, Rogulja spiegò: «Aspetto l'aurora, perché questa notte in cui viviamo non può durare in eterno!» Riferendosi poi al suo allontanamento dalla redazione di "Novine" osservava:                                                   

            «Qualcu­no una volta disse che il nostro suolo croato è paludoso e che soltanto i più coraggiosi dovranno mettere il piede nel pantano. Forse dovranno essere conficcati come i piloni per creare la base su cui le generazioni future edificheranno la nostra Croazia cristiana. Ciascuno di noi deve essere in sé così educato da poter sopportare questo sacrificio per servire come semplice, invisibile e dimenticato supporto, come uno degli innumerevoli piloni sui quali si ergerà l'edificio della nostra Croazia cristiana. Quanto a me, mi convinco sempre di più che devo essere quel "aries", l'ariete che apre la breccia nelle mura della fortezza. Quando si sarà posata la polvere delle rovine fatte dall'aries, tutti si sentiranno alleggeriti e vedranno più chiaramente. In questi tempi torbidi io cerco la luce della verità. Non dico di essere infallibile».[4]

           

            7. L'articolo "Pred zoru" (Prima dell'aurora) di Petar Rogulja.

           

            Sarà proprio l'articolo Pred zoru a suscitare il malcontento non solo dell'"altra sponda" ma anche di un Ljubomir Maraković, che certamente non era un "geronimiano"; lo stesso giovane cadetto Ivan Merz, sul fronte, rimarrà mal impressionato leggendo «il terribile articolo», sul quale chiederà il parere di Maraković. E' necessario pertanto darne un sunto con ampi estratti.

            Già lasciando le "Novine" Rogulja aveva scritto che non c'è stato, popolo, partito o gruppo dove tutti la pensano allo stesso modo. «Nemmeno questo gruppo al quale hanno dato il nome di Movimento cattolico croato, è omogeneo. I nostri protagonisti hanno incentrato tutto il loro lavoro su tre principi: essere cattolico, croato e democratico. I principi sono chiari, ma la loro applicazione, specialmente la tattica è indeterminata». E ciò vale nel campo religioso - ad eccezione dei dogmi della Chiesa -, culturale ed economico, e ancora di più in quello politico.

            Più diffusamente egli lo spiegò nell'articolo Pred zoru, in cui, dopo aver brevemente esposto la storia del Movimento cattolico croato, sottolineava che il primo passo significativo nella pubblicistica era stato fatto il giorno in cui cominciò ad uscire il giornale "Riječke novine": «da quel giorno il Movimento cattolico in Croazia elabora il suo programma politico, che è diverso da quello che fu del giornale cattolico di Zagreb "Hrvatstvo"».

            Trattando quindi dell'«evoluzione delle idee» (Razvoj ideja) nel Movimento cattolico afferma che «il contenuto del Movimento non è sempre stato lo stesso».

            «Si comprende da sé che l'azione cattolica, inaugurata dai c.d "furtimaši" con il "Hrvatstvo", non poteva non influire sul movimento cattolico studentesco che si stava sviluppando sotto la guida del vescovo Mahnić, benché i giovani cattolici rifiutassero ogni legame interno, specialmente nel campo politico, con il vecchio gruppo. Eppure proprio sul piano politico questo vecchio gruppo ha esercitato grande influsso sulla prima generazione dei giovani, mentre nel clero ha impresso il proprio sigillo così che ancor oggi vi vediamo molti residui della loro educazione politica. La caratteristica di questo gruppo è stata il conservatorismo religioso e culturale, che si è dimostrato passivo nell'azione pubblica, né ha prestato sufficiente attenzione all'organizzazio­ne economica, mentre politicamente condivideva le idee del Partito del diritto limitandosi, come le altre frazioni di questo partito, soltanto alla critica.[…]

            La seconda generazione...era quasi completamente opposta alla prima.[…] Questo periodo di Krek - per chiamarlo così - è l'epoca d'oro del movimento studentesco cattolico, perché nelle file degli studenti ha creato la prima sana base per il lavoro nel popolo e per la vita pubblica.

            Dopo un breve tempo di tentennamento e di indecisione nelle principali questioni nazionali, riempito di lotte nelle università e in pubblico - era il periodo degli avvenimenti nei Balcani - è cominciato il periodo di un così grande lavoro spirituale e di progresso che difficilmente possiamo trovare simili irruzioni di energie in una giovane generazione nella storia del movimento. "Đački vjesnik", questa splendidamente redatta appendice della "Luč", sufficientemente caratterizza questa terza generazione, alla quale ha dato lo spirito la sezione di difesa nazionale del "Domagoj"».

            Dopo aver accennato alle riunioni della Sezione di difesa nazionale nel semestre invernale 1913/14 prossegue:

            «Verso la fine del semestre si son tenute sedute comuni dei seniori e della sezione, sono venuti anche gli studenti di teologia e, di comune accordo - sebbene non esplicitamente -, circa la nostra situazione è stata accettata la visione quale veniva presentata nel giornale "Riječke novine", che con il suo atteggiamento ha influito abbastanza sul modo di pensare degli uomini cattolici impegnati nella vita pubblica e della gioventù.

            Le idee principali che hanno dato l'indirizzo all'evoluzione di questa generazione di nazionalisti cattolici sono: la comprensione conciliante dei rapporti culturali e politici con i Serbi, che termina con l'accettazione della tesi dell'unità nazionale dei Croati, Serbi e Sloveni, nella quale entrerebbero anche i Bulgari; nelle questioni culturali e d'istruzione tutti i membri di questa generazione sono per il più intenso lavoro nel popolo, evitando possibilmente gli scontri con i gruppi liberali, e adottando così la tattica opposta a quella del gruppo dei c.d. "furtimaši" che preferiva la lotta culturale, perché (secondo loro) sarebbe anzitutto necessario il discernimento degli spiriti per Cristo o contro Cristo; i giovani al contrario evitavano la lotta finché per essa non sarà preparato il terreno e non si renderà necessaria; quanto ai problemi religiosi questa terza generazione si è dedicata con tutto l'entusiasmo all'unione (delle Chiese) e all'idea cirillo-metodiana, collegando tutte queste idee culturali, economiche e politiche e formando un sistema completo.

            Nello stesso tempo costruiva la propria ideologia un altro gruppo nel Movimento cattolico, rappresentato dall'insegnante di religione Matija Manjarić di Osijek. Molto vicino alle idee degli uomini del "Hrvatstvo", egli aveva cominciato a criticare molte idee, a suo giudizio malsane, che trovavano posto nel giornale "Riječke novine". Nella (rivista) "Vrhbosna" uscì una serie di suoi articoli, ai quali - per quanto riguardavano la redazione di "Riječke novine" - ha risposto la guida stessa del Movimento, il vescovo di Krk, dr. Mahnić. La risposta non fu favorevole all'autore (degli articoli pubblicati) in "Vrhbosna", e il congresso cattolico a Ljubljana accolse la risoluzione con cui veniva proibita a Manjarić la critica pubblica. Più tardi Manjarić ebbe ancora una polemica con il redattore della "Hrvatska prosvjeta", il "domagojac" Petar Grgec, sulla critica letteraria, ma secondo l'opinione comune ne uscì sconfitto».   

            Rogulja poi ricorda un incontro di alcuni seniori e del sac. Manjarić nella redazione del giornale "Novine", dove si discusse delle idee guida del Movimento cattolico. Manjarić rimproverava al giornale di non essere cattolico da quando veniva pubblicato a Zagreb. Secondo Rogulja, c'erano due modi di vedere le cose:

            «Secondo il mio parere non competente (non ho studiato teologia, mentre mi persuadono che di questo può scrivere soltanto un istruito teologo) ci sono due sistemi che nelle diverse forme e sfumature sono sempre esistiti e si sono confrontati per la preminenza nella Chiesa. Nei principi della fede l'una e l'altra corrente sono decisamente cattoliche, solo nella tattica nell'applicazione dei principi: una è cauta e conciliante, l'altra intrasigente fino alla rissosità. A causa delle attuali condizioni belliche nella Croazia, la gioventù cattolica è  conciliante verso gli avversari perché si tratta della concordia nazionale; ciò vuol dire che essa non desidera cominciare le lotte culturali (Kulturkampf); perciò la tattica di questo gruppo è di un tenore nazionale. L'altro gruppo, al contrario, sottolinea l'integrità dei principi cattolici perché pensa che con la tattica conciliante potrebbero essere cancellate le differenze tra i cattolici e i liberali. Chiamiamo quindi il primo gruppo "nazionalisti" e l'altro "integralisti", e applichiamo tutto, nelle linee generali, alle nostre condizioni:

            I "nazionalisti": nelle questioni religiose chiedono il cambiamento dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato, l'autonomia della Chiesa cattolica e l'indipendenza dallo Stato; la riforma delle condizioni materiali del clero e l'abbandono dei resti del feudalismo.

            Nel campo culturale sono per le scuole confessionali come parte dell'autonomia della Chiesa. Hanno come ideale la letteratura nazionale cattolica, ma nella critica delle belle lettere si accontentano che l'opera non offenda i principi della morale cattolica.

            Nelle questioni economiche adottano il sistema di "Köln".

            Nelle questioni politiche sono nazionalisti, cioè nel lavoro pubblico hanno come criterio principale l'interesse nazionale, oltre che i principi morali del cattolicesimo.

            Gli "integralisti": nelle questioni religiose sono per il legame più stretto possibile tra la Chiesa e lo Stato.

            Nel campo culturale sono per le scuole confessionali e per una letteratura positivamen­te cattolica, come anche per tali associazioni letterarie.

            Nelle questioni economiche sono per il sistema di "Berlin", cioè vogliono avere le società economiche cattoliche separate.

            Nelle questioni politiche sono legittimisti, cioè l'interesse statale (di chi secondo la legge ha il potere) è il principale criterio nella loro attività pubblica.

            Qui sono disegnate le principali differenze dei due indirizzi, s'intende in breve e molto imperfettamente. Ad ogni modo la differenza principale  che caratterizza le due scuole sta nel modo in cui si vuole risolvere la questione nazionale […]».

            Rogulja quindi così raggruppa i sostenitori dell'una e dell'altra corrente:

            - del gruppo dei "nazionalisti" fanno parte oltre ai membri del "Domagoj" tutte le associazioni accademiche laiche e quelle degli studenti di teologia (Zborovi), ad eccezione di quelli diocesani di Sarajevo, i club feriali, tutti i seniorati ad eccezione di quello della Slavonia, gran parte del clero, specialmente francescano, e in particolare il giovane clero, con le pubblicazioni "Luč", "Hrvatska prosvjeta", "Novine"; con loro simpatizzano le pubblicazioni dei francescani nonché il "Katolički list";

            - al gruppo degli "integralisti" apparterebbero il seniorato della Slavonia, i gesuiti, gli studenti di teologia diocesani di Sarajevo, inoltre gli uomini intorno alle pubblicazioni "Dan", "Vrhbosna" e "Hrvatski dnevnik". Nella politica il gruppo "integralista" è vicino al partito dei "Frankovci".

            Neutrale, invece, sarebbe il vescovo Mahnić, guida del Movimento cattolico, e in genere "Hrvatska straža" e "Svećenička zajednica".[5]

           

            8. Reazioni all'articolo "Pred zoru".

 

            Come aveva ben previsto Velimir Deželić jr, amico di Rogulja, le reazioni all'articolo non si fecero attendere.

            Il padre spirituale del seminario teologico di Đakovo, Grgur Galović, nel "Glasnik biskupije bosanske i srijemske", 1916, p.184, sriveva:

            «L'articolo "Pred zoru" è scritto dal punto di vista partitico, in modo tale che l'ideologia del movimento cattolico rifiuta fin da principio. Questo è il punto di vista degli uomini che quasi in tutta l'attività dello zelante papa Pio X trovavano troppa asprezza e gli rimproveravano lo zelo per la chiarificazione delle questioni di principio nello spirito rigorosamente cattolico. I punti di vista di Petar Rogulja su qualche questione in questo articolo sono tali stravaganze... Sarebbe nell'interesse del movimento cattolico che non gli si imponga come ideologo colui che non ha fatto sue le idee del vescovo Mahnić e dell'episcopato croato, attinte alle direttive della Santa Sede».

            E la rivista di Mahnić "Hrvatska straža" 1917, p. 320, sentenziava:

            «Non possiamo in alcun modo approvare che i più giovani vogliano per forza fare un proprio circolo che sarà separato dagli anziani. Questo è un errore che potrebbe provocare molte lotte. Gli altri fra dieci anni imporranno alla gioventù di oggi la propria nuova mentalità... Ciò non è il punto di vista cattolico».[6]

            Il seniorato della Slavonia affidò al suo presidente dr. Andrija Živković il compito di esaminare criticamente l'articolo di Rogulja. Živković lo fece nell'articolo Religiozni i kulturni konzervativizam (Il conservatorismo religioso e culturale) che mandò alla redazione della "Luč", ma questa non lo volle stampare; fu quindi pubblicato nella "Hrvatska straža".[7]

            Al tempo stesso, Živković si era rivolto al vescovo Mahnić per avere il suo parere sull'articolo di Rogulja. La risposta di Mahnić, del 10 dicembre 1916, fu pesante:

            «[…] Anch'io condanno ciò che scrive P. Rogulja. E' vero, anche nel campo cattolico ci sono sempre state varie correnti, e ce ne sono anche oggi, ma quello che in Rogulja mi ha dolorosa­mente impressionato è la sua cattiva intenzione, che appare dal contesto, di introdurre la discordia nelle nostre file. E ciò in questo tempo sommamente critico! Rogulja dovrebbe imparare ancora molte cose. Nella filosofia e nella teologia egli è tabula rasa. E' capace di scrivere anche eresie. Anche nella storia ecclesiastica è tutt'altro che bene istruito. Speravo che sarebbe migliorato, ma mi sono sbagliato. Egli ci dava sempre fastidio. Non possiamo in nessun modo permettere che egli abbia l'ultima parola nelle "Novine". In questi giorni scriverò a Zagreb in tal senso. Meglio che non ci sia nelle nostre file... Se avessi saputo prima che nella "Luč" sarebbe stato stampato l'articolo di Rogulja, credetemi che avrei scritto a Zagreb per impedirlo...».[8]

            Mahnić più tardi ritirò il giudizio negativo sulle intenzioni di Rogulja, riconoscendo­gli la buona fede e lo spirito di sacrificio, ma rimase del parere che il lavoro di Rogulja seminava la discordia.[9] Tuttavia lo stesso Mahnić, che Rogulja nel suo articolo aveva definito "neutrale", difendeva la giovane generazione e invitava tutti, s'intende la generazione più anziana, all'unità e alla tolleranza. Ad un certo punto si fece sentire Grgur Galović nel "Glasnik biskupije bosanske i srijemske", 1917, rivolgendosi direttamente al vescovo Mahnić:

            «Ecco è venuto il momento che anche il vescovo Mahnić nella lotta tra la ragione e il cuore finalmente dichiari da che parte intende stare... Con quelli che Petar Rogulja ha classificato come portatori della nuova mentalità, o con quelli che egli ha definito conservatori religiosi e culturali... Gli uomini della nuova mentalità già da tempo vogliono chiuderci gli occhi, e tutto ciò in nome della concordia, della pace e dell'unità! Voi soltanto state zitti, e noi formeremo la nostra mentalità! E abbiamo taciuto, solo sulla Vostra parola, Illustrissimo! Speravamo, come anche gli altri speravano, che a quanti si sono allontanati Voi avreste gridato: indietro! Voi invece avete trovato opportuno dimostrare nell'appendi­ce delle "Novine", num. 180, che coloro che introducono il dissenso, sono sempre nostri, sono devoti alla Chiesa, lasciano all'Episcopato di sorvegliare il loro lavoro e di controllarlo...Vi comprendiamo, Illustrissimo, dobbiamo però dire che noi, ai quali avete indirizzato il vostro articolo, come anche gli altri che stanno con noi nella Slavonia e nella Bosnia, non possiamo riconoscere la correttezza del vostro procedimento.(...) Alla vostra paterna preoccupazione importa solo l'unità, la concordia. Poiché si nota, e pare che anche Voi, Illustrissimo, lo sapete bene: questi uomini della "nuova mentalità"  amano più le proprie idee che non quelle che Voi avete instancabilmente propagato. Ed essi - non lo so, forse mi sbaglio - sarebbero forse disposti andare per la loro strada, senza di Voi. E a Voi il vostro cuore non lo permette. Il vostro amore per essi è più forte della forza della coerenza! Perciò essi alzano le ali. Siamo venuti a Zagreb e abbiamo visto questi uomini della nuova mentalità - e abbiamo deciso di non tacere più. E la concordia, e l'unità? Questo bisogna gridare ad essi...perché essi distruggono la concordia. Se l'unità sta loro a cuore, non siano tanto presuntuosi da esigere da noi altri la disciplina e il silenzio, mentre essi lavorano in questo sistema, e noi altri come agnelli "organizzati" stiamo zitti e ci meravigliamo delle insulsaggini e talvolta immaturità nelle "Novine", riconoscendole come nostro organo e non potendole raccomandare a nessuno. […] non ci arroghiamo il diritto di "anatematizzare" chicchessia. Riteniamo tuttavia di poter dire apertamente se qualcosa non è corretto. Specialmente quando non si tratta dell'opinione di un individuo o di pochi, ma della maggior parte di coloro che hanno molto a cuore il movimento cattolico. "L'unità" e "la concordia" è possibile tra di noi soltanto se essa esiste nei principi. E questo manca...».[10]

            Nello stesso "Glasnik" del 1917, p. 101, Galović pubblicò anche la dichiarazione di P. Rogulja secondo cui «nel movimento cattolico esistono due correnti e concezioni contrarie che non possono accordarsi, però solo pochi lo vedono. C'è ancora la gente che crede nella concordia. Dove è possibile la concordia se noi dissentiamo sui principi?  Prima o poi deve avvenire lo scisma (raskol)».[11]

 

            «Per evitare lo scisma nel giovane movimento cattolico croato - scrive V. Deželić jr.[12] - su mia iniziativa (ero il presidente dell'intero Seniorato) ho convocato a Zagreb la riunione dei delegati dei seniorati regionali dell'intera Croazia. Per tutto il tempo della riunione era presente il vescovo di Krk, dr. Antun Mahnić, e nella parte principale il metropolita croato l'arcivescovo di Zagreb, dr. Antun Bauer. Su questa riunione esiste una lettera del primo seniore del "Domagoj" dr. Stjepan Markulin, di Zagreb, al dr. Đuro Kuntarić, a Đakovo: "[…] Alla riunione principale non ero presente... Ciascuno interpreta il risultato (della riunione) a modo suo. I pp. Gesuiti insegnano che la cosa si è sciolta, rispettivamente finita con un fiasco. Noi abbiamo l'impressione che sia rimasta come prima, quindi correttamente e coerentemente lavoriamo come finora. D'ora in poi con la speciale approvazione del vescovo Mahnić. Egli si è fatto informare esaurientemente da ciascuno, ed ha ascoltato separatamente tutti, dunque sa tutto - eppure non ho sentito che egli abbia fatto alcuna osservazione al nostro operato. Anzi, ha deciso di seguire personalmente tutte le vicende e la stampa, solo per poter esercitare un vero controllo. Inoltre ha deciso di chiedere l'autorizzazione dell'episcopato di poter intervenire a loro nome..."».

            Su questo raduno del Seniorato a Zagreb nell'estate del 1917, il Seniorato della Slavonia informava:

            «Si pensava che lì sarebbero state appianate tutte le controversie. Alla presenza dell'illustris­simo dr. Mahnić, il presidente del Seniorato della Slavonia Šdr. Andrija Živković) ha invitato il Seniorato di Zagreb a dichiarare pubblicamente nelle "Novine" o nella "Luč" di non identificarsi con le idee che il vescovo Mahnić ha condannato, e che esse rimangono un'opinione personale di Petar Rogulja. (I seniori di Zagreb) Hanno dichiarato che non lo avrebbero fatto».[13]

            Il Seniorato della Slavonia, quindi, il 28 dicembre 1917 pubblicava la sua Dichiarazio­ne in otto punti:

            «1. In primo luogo sottolineiamo che per noi la purezza dei principi cattolici e la loro coerente realizzazione nel popolo e nella stampa è l'assioma fondamentale per il progresso in questo lavoro.

            2. Abbiamo l'impressione che intorno alle "Novine", sotto la direzione di alcuni (membri) si voglia imporre a tutto il movimento cattolico "la nuova mentalità", la cui caratteristica principale - accanto alle idee evidenziate nell'articolo "Pred zoru" (Luč I, 1916-1917) - è nella posposizione dei principi religiosi e culturali del movimento cattolico alle opinioni partitico-politiche di alcuni seniori - quindi dichiariamo di ritenere tale tentativo dannoso e pericoloso per il lavoro comune e per la concordia. Noi seniori della Slavonia rimaniamo su quella posizione che dall'inizio è stata propagata dalla "Hrvatska straža" e dalla "Luč" più antica, né riteniamo necessario, anzi pensiamo che sia pericoloso introdurre una nuova mentalità che fosse differente da quella segnalata.

            3. Condanniamo il tentativo di introdurre il principio di interconfessionalismo nelle organizzazioni nel popolo croato e dichiariamo che il principio del puro cattolicesimo è l'idea fondamentale in ogni organizzazione, anche se tecnica (professionale).

            4. Riteniamo erroneo e illecito propagare il pensiero sulla separazione della Chiesa dallo Stato, attenendoci in questo alle precise istruzioni della Santa Sede.

            5. Dichiariamo che sostenere la liceità della rivoluzione sia non solo pericoloso ma anche illecito - secondo la dottrina della Chiesa (Syllab. prop. 63)), del Vangelo (2 Ptr. 2) e dell'enciclica Apostolici muneris di Leone XIII.      

            6. Condanniamo il tentativo che tende a "cancellare con una tattica conciliante la differenza tra i cattolici e i liberali" - perché riteniamo che tale tentativo sia sempre e necessariamente accompagnato dalla retrocessione dai principi cattolici o dal loro rinnegamento.

            7. Riteniamo che l'Ordine dei rev.di pp. Gesuiti - tenendo presente proprio la nostra residenza a Zagreb - sia uno tra i primi e più forti aiuti nel nostro lavoro per la vittoria dei principi cattolici nel nostro popolo.

            8. Non entrando minimamente nel meritum della nota "dichiarazione" di Sarajevo, nel modo più energico condanniamo il modo di scrivere delle "Novine" contro la persona dell'arcivescovo dr. Stadler, con cui è stata messa in dubbio la purezza e la nobiltà del suo carattere e il disinteresse della sua attività patriottica».[14]

 

            Sull'atmosfera che nell'estate del 1917 regnava nelle file dei "domagojci" a Zagreb abbiamo una testimonianza autorevole e molto illuminante; essa non proviene da una delle parti litiganti né è stata scritta per essere pubblicata, e finora è rimasta inedita. Dr. Ljubomir Maraković, nel suo Diario accenna al suo congedo di 6 settimane (luglio-agosto 1917) che passò a Zagreb, dove ebbe varie visite, tra cui quella di Ivan Merz (per l'Assunta), quindi annota con stile telegrafico:

            «Alcune volte (ho tenuto?) le conferenze sui "Domagojci" a causa della loro posizione politica - la dichiarazione jugoslava[15] - e a causa della lotta che è sorta intorno alle "Novine", il "Glasnik biskupije đakovačke" e Mahnić. La cosa è del tutto uscita dal solco, per cui non ha senso ch'io me ne occupi più da vicina. Per me comunque questo non è più in alcun modo il movimento cattolico e tutto ciò non ha più alcun significato. Gli uomini si sono immersi completamente nelle cose temporali, per questo sono diventati così intolleranti. Essi vedono nelle "Novine" non so quale conquista, io invece penso che per l'educazione di un'anima il giornale non sia affatto necessario, se non è addirittura nocivo. Adesso, occupati della difesa nazionale, non hanno interesse per la vita interiore, come ad es. hanno perduto ogni senso per le congregazioni[16] e il loro vero significato. Che cosa importa ad essi la venerazione della Santissima Vergine! Essi vogliono l'organizzazione, il "lavoro" ecc. Ed anche l'"orientamento nazionale". - Un aspetto mi consola: che la vera devozione, nonostante(!) il "movimento cattolico", è cominciata ad approfondirsi sotto molti aspetti. Specialmente mi rallegra il lavoro di Vjera[17] per la Lega delle associazioni delle giovani, la sua seria, generosa, bella e coscienziosa comprensio­ne della cosa (Lega), la loro reciproca intesa e aiuto nonché l'entusiasmo per la cosa».  

            Il 18 febbario 1918, poi, in una lettera al dr. Stjepan Markulin, Maraković manifestava la propria disapprovazione dell'articolo Pred zoru e, in minor misura, di un altro articolo Sunce na smiraju[18] (Il sole al tramonto), pubblicati senza alcuna riserva da parte della redazione:

            «Astraendo dalla circostanza che io non posso essere d'accordo neanche con il contenuto di questi articoli, vedendo nella sua (di Rogulja) divisione delle file cattoliche un atto che non posso chiamare altrimenti che pestis perniciosissima, astraendo dunque da questa (mia) opinione, e anche se fossi d'accordo con lui, non posso in nessun modo approvare che cose del genere vengano divulgate nelle pubblicazioni che, sebbene destinate ai circoli universitari, hanno, come tutti noi lo sappiamo, la maggior parte dei lettori tra gli studenti medii. Non come pedagogo e professore approvato dallo Stato, bensì come educatore per vocazione e per il dono di Dio, dovunque io fossi e qualunque posto occupassi, io protesto contro tale modo di fare; e se non l'ho fatto o non lo faccio pubblicamente, l'unica ragione ne è perché non voglio fare quello che ha fatto l'autore di quegli articoli - creare lo scisma e lo scandalo pubblico a danno di coloro che, credendo nella buona volontà e il sincero sforzo degli uomini come il sig. Andrić, tacciono sed non consentiunt, rischiando così di essere raggirati e derisi nelle riunioni "confidenziali" e "amichevoli", come già è accaduto. Questo lato molto amaro e molto triste del "nostro" movimento, che è "nostro" solo in tanto in quanto una parte di "noi" deve tacere, mentre l'altra fa quello che vuole - (questo lato) va chiaramente e apertamente sottolineato almeno nei contatti privati, affinché quelli che sinceramente la pensano bene, sappiano a che punto siamo... Se qualcuno vuole esporre delle opinioni controverse, lo faccia là dove è possibile discuterne seriamente, e non dove gli altri devono tacere, perché il male non aumenti».[19]

           

            9. La "Dichiarazione di maggio" e il Movimento cattolico croato.

 

            Un motivo di divisione dei cattolici croati era diventata anche la "Dichiarazione di maggio", che a nome del Club jugoslavo il dr. Anton Korošec aveva letto nel Consiglio imperiale di Vienna il 30 maggio 1917 (v. supra, Cap. I, 12). Ideata dal sacerdote dr. Janez Krek, redatta da Krek e Korošec, approvata nei particolari anche dal deputato liberale-anticlericale Josip Smodlaka di Split,[20] questa Dichiarazione non ebbe il consenso unanime dei partiti politici croati, ma nemmeno degli ambienti cattolici.

            «La Dichiarazione di maggio ha diviso gli spiriti nel clero cattolico, tra i Croati in genere  e - si comprende - tra gli appartenenti al Movimento cattolico croato... Alcuni, con a capo Rogulja, si sono apertamente schierati con Korošec esprimendosi per la Dichiarazione di maggio. Altri erano contrari ad essa: tra questi i "pravaši" (quelli del Partito del diritto), la maggior parte del clero e l'arcivescovo Stadler... Il vescovo Mahnić si è pronunciato per la Dichiarazione di maggio».[21]

            Il giornale  di Zagreb "Novine" approvò subito la Dichiarazione. Più tardi il giornalista Mario Matulić scriverà che con la Dichiarazione di maggio comincia la nuova vita nelle file del Movimento cattolico croato e del Seniorato.[22] Infatti, la Dichiarazione non rimase sulla carta ma fu all'origine di un movimento. Fu sostenuta da una parte del clero secolare e dai francescani della Bosnia ed Erzegovina. Il giornale "Hrvatski dnevnik", di Sarajevo, nel luglio 1917 scrisse che anche l'arcivescovo Stadler a nome dei Croati cattolici accettava la Dichiarazione di maggio. Il 16 novembre 1917, però, veniva pubblicata la "Dichiarazione" ("Izjava") di Stadler con cui si distanziava dalla Dichiarazione del Club jugoslavo. Egli chiedeva che la questione giuridico-statale croata fosse risolta in base al diritto statale croato, nel pieno rispetto dell'individua­lità nazionale e statale croata (punto I), quindi che fossero unite tutte le terre alle quali si estende il diritto statale croato - Croazia, Slavonia, Dalmazia, Bosnia, Erzegovina ed Istria - in un corpo politico e finanziarmente autonomo, inseparabilmente unito alla Monarchia absburgica (punto II). «Riteniamo nostro dovere in primo luogo difendere la propria individualità nazionale e statale, gravemente minacciata da tutte le parti. Volentieri aiuteremo i fratelli Sloveni nella loro lotta per la conservazione e nei loro sforzi e attività per unirsi a noi» (punto III). Infine, si affermava che una forte Monarchia era il miglior scudo contro i nemici storici che avidamente tendono le mani verso il territorio croato. Si prometteva la fedeltà al sovrano e allo Stato, a condizione che fossero attuati i punti I e II e che lo Stato abbandonasse la politica degli ultimi cinquant'anni dannosa al popolo croato e allo Stato stesso (punto IV).

            Stadler vedeva nella "Dichiarazione di maggio" un triplice pericolo: per il cattolicesi­mo che rischiava di perdersi nell'ortodossia serba, per gli interessi nazionali in quanto i Croati rinunciavano alla propria sovranità in favore dei Serbi, e per la Monarchia che poteva scomparire. La dichiarazione di Stadler fu fortemente criticata dal giornale "Novine" che esprimeva la convinzione che dietro ad essa stavano altri uomini. Il giornale poteva scrivere così perché, di fatto, Stadler aveva firmato la Dichiarazione per insistenza dell'avvo­cato Ivo Pilar e dell'ingegnere Josip Vancaš che per tre ore avevano cercato di convincere l'anziano arcivescovo (aveva 75 anni) che ciò era nell'interesse del popolo croato.[23]

            Nel maggio 1918, il vescovo Mahnić comincia a scrivere sulle "Novine" una serie di articoli dai titoli: Il jugoslavismo e il cattolicesimo, Il liberalismo, il dualismo e il centralismo - ecco i nostri nemici, La vocazione del popolo croato e La politica dei cattolici croati. Il primo articolo, dove Mahnić negava che la Dichiarazione di maggio rappresentasse l'attentato al cattolicesimo in favore dell'ortodossia serba, fu interamente censurato.[24] Quanto all'obiezione che la stessa Dichiarazione andava contro gli interessi croati, Mahnić sottolineava che i Serbi sono tra noi, che sono i nostri fratelli dello stesso sangue e della stessa lingua; non sono cattolici, ma sono cristiani; devono essere avvicinati a noi e ciò è possibile solo con l'amore. Infine, a proposito della lealtà verso la Monarchia, che sarebbe venuta meno in seguito alla Dichiarazione di maggio, Mahnić affermava che la Dichiarazione era in realtà un atto di lealtà. «Nell'interesse della Monarchia nulla è più auspicabile che la creazione dello Stato sud-slavo, così come è immaginato nel programma di maggio». Mahnić però cercava di giustificare la Dichiarazione anche con motivazioni di ordine superiore e soprannaturale. Egli credeva in una particolare missione del popolo croato in vista dell'unione della Chiesa ortodossa con la Chiesa cattolica (l'idea cirillo-metodiana allora in voga), il che gli procurerà l'accusa di proselitismo.[25] L'attuazione del programma della Dichiarazio­ne di maggio, secondo Mahnić significava anche l'opposizione all'espansio­nismo germanico, quindi all'espansione del protestantesimo (che è strettamente legato alla cultura e alla politica tedesca) all'Oriente. Salvare l'ortodossia degli Slavi dall'influenza del protestantesimo era, secondo Mahnić, nell'interesse vitale del cattolicesimo, e in questa prospettiva il programma della Dichiarazio­ne di maggio acquistava un significato religioso e culturale ben più ideale di quello politico.[26]

            Nell'articolo La politica dei cattolici croati Mahnić approvava pienamente l'adesione del Seniorato di Zagreb alla Dichiarazione di maggio, esprimendo la speranza che i dissidi, che per questo erano sorti nelle file dei cattolici, sarebbero scomparsi e che ogni membro del movimento cattolico alla fine avrebbe riconosciuto «che solo dalla politica condotta nel senso della Dichiarazione di maggio possiamo sperare un vero progresso degli interessi croati e cattolici come nei Balcani così anche nell'Oriente in genere».[27]

            Contro queste belle immaginazioni (oggi possiamo chiamarle così) reagì il sac. Stipe Vučetić sul giornale "Hrvatska", definendo la «dissertazione del dr. A. M. (Antun Mahnić)» come «l'ideologia jugoslava senza reali e seri fondamenti, capace di portare il nostro popolo croato fino alla catastrofe».[28]

 

            10. L'impegno politico del Seniorato cattolico nel 1918.

 

            Il Seniorato, accettando la Dichiarazione di maggio come programma politico, si adoperò per la concentrazione dei partiti politici e per la sospensione di inutili polemiche, ritenendo che, nel momento in cui si decideva della sorte del popolo, un "Kulturkampf" avrebbe soltanto indebolito le forze nazionali. «Quando il nostro gruppo (Seniorato) - scriveva Janko Šimrak nel giugno 1918 - accettò la dichiarazione del 30 maggio 1917 e con essa l'unità nazionale e l'autodeterminazione, vedeva in questo un programma nazionale e non politico (di partito)». Il 30 agosto 1918 si riunirono a Zagreb i seniori (circa 50) dalle diverse regioni, per discutere dell'organizzazione del Seniorato e del suo futuro orientamento. Nella dichiarazione che ne seguì, veniva sottolineato che il Seniorato era «un gruppo particolare con il programma culturale cristiano» e che la concentrazione dei partiti politici, con i quali si erano messi insieme anche i cattolici organizzati, lasciava intatti i programmi dei singoli partiti, quindi anche quello del Seniorato; la cooperazione con tutti i Croati aveva per scopo la difesa della patria che era in pericolo. I seniori però, «non dovevano entrare in nessuno dei partiti politici esistenti»; si pensava infatti all'organizzazione di un proprio partito.

            Dopo la costituzione del Consiglio nazionale dei Serbi, Croati e Sloveni (5-6 ottobre; v. supra, Cap. I) - che per il Seniorato era solo un governo rivoluzionario provvisorio «finché il popolo non crei la Costituzione ed elegga il vero governo popolare» - furono cooptati nel Consiglio anche alcuni sacerdoti seniori e altri che non erano seniori, come anche diversi appartenenti al Movimento cattolico. Anzi, Janko Šimrak entrò nel Comitato centrale del Consiglio ed ebbe la funzione di capo dell'ufficio informazioni. Il suo segretario nel Consiglio era Petar Rogulja.

            Quando nella riunione del Comitato centrale del 26 novembre, su proposta di Svetozar Pribičević, fu decisa per l'indomani la partenza della Delegazione del Consiglio a Belgrado, Petar Rogulja, che era presente alla riunione, si oppose a questa decisione argomentando che «non è il tempo per questo passo, perché a Belgrado non c'è il parlamento serbo, ma solo il principe Alessandro, noi invece dobbiamo trattare con il popolo e non con la dinastia (...), non è saggio andare a Belgrado prima che torni il presidente del Consiglio nazionale Korošec e noi veniamo informati sulla situazione all'estero e su che cosa egli abbia fatto all'estero». Rogulja ebbe l'appoggio dei deputati del Partito del diritto di Starčević, ma non riuscì ad impedire la partenza della Delegazione.

            Nella Delegazione era anche Janko Šimrak che il 30 novembre fu ricevuto in udienza privata dal principe Alessandro, dalla quale avrebbe riportato «la ferma convinzione che i cattolici croati potevano con fiducia guardare all'avvenire».[29]       

  

            11. Gli Statuti del Seniorato e la nascita del Partito Popolare Croato.

 

            Dopo i necessari preparativi, nella riunione dei seniori a Zagreb nei primi giorni di maggio 1919 furono approvati all'unanimità gli Statuti del Seniorato cattolico croato, con i quali veniva fissata la struttura dell'organizzazione.

            Nel  1. veniva precisata la natura e il fine dell'organizzazione: «Il Seniorato cattolico croato è una organizzazione unitaria culturale dei seniori che ha per scopo di riunire tutti i seniori nel lavoro per la ricristianizza­zione della patria. Questa organizzazione quale forum supremo dell'azione cattolica organizzata in patria, crea l'ideologia del movimento e dà l'indirizzo a tutto il lavoro culturale-sociale ed anche a quello politico dei propri membri. In tutte le questioni della fede e della morale opera d'intesa e secondo le direttive dell'episcopa­to cattolico jugoslavo e, se necessario, della Santa Sede».

            Nel  2. si stabilisce che può diventare membro ordinario del Seniorato solo colui che viene accettato dal Comitato centrale, il quale però, in caso del rifiuto, non è obbligato a darne spiegazione.

            Secondo il  6. ogni membro, entro 14 giorni dalla notizia dell'accetta­zione nel Seniorato, deve far pervenire al presidente il giuramento firmato di propria mano, con il quale si impegna alla incondizionata disciplina dell'intera organizzazione, a compiere i doveri e custodire il segreto - questo anche nel caso dell'uscita dal Seniorato - , dichiarando inoltre di ritenersi pienamente responsabile davanti al Seniorato cattolico croato per tutta la propria vita pubblica e privata e per il proprio lavoro. E' il dovere di ogni seniore come funzionario o membro di qualunque associazione lavorare in questa secondo le intenzioni del Seniorato cattolico croato.

            Nel  9. è previsto che per la promozione dei fini del S.C.C. possono essere accolti nel proprio ambiente anche degli ospiti che siano dello stesso pensiero, ma essi non devono essere informati delle cose interne del Seniorato, che sono riservate esclusivamente ai seniori.

            Due disposizioni degli Statuti saranno in seguito fonte di dissensi e contestazioni: il fatto che il Seniorato si considerava il «forum supremo» del Movimento cattolico, e il giuramento richiesto dai membri. La struttura centralizzata dell'organizzazione e la disposizione che i membri del Comitato centrale dovevano essere domiciliati a Zagreb, assicurava al Seniorato di Zagreb il ruolo di guida.

 

            Nella riunione del Seniorato del 7 maggio 1919 veniva fondato il Partito Popolare Croato, analogo al Partito Popolare Sloveno. Nel "Seniorski vjesnik" III, num. 2, p. 27s, si dava notizia di questa fondazione e si comunicava la decisione dei seniori che «nessun senior può essere membro di un altro partito diverso dal Partito Popolare». Petar Rogulja, nello stesso bollettino, p. 17s, spiegava il fine del partito, il quale è parte integrante del Movimento cattolico, guidato dal Seniorato:

            «Nelle nostre mani il Signore ha posto il futuro degli Slavi del Sud, a noi ha dato di assumere il compito provvidenziale del popolo croato, serbo e sloveno, la causa principale dell'esistenza del nostro Stato. Il Movimento cattolico è il primo a portare (avanti) nel modo più energico il pensiero della creazione di un'unica cultura slava nel Sud, il pensiero dell'unione delle Chiese. I discorsi con Krek non sono altro che l'introduzione nel lavoro per questo fine supremo, lo sforzo di Mahnić è solo il fondamento di questa idea la più grande di tutte. Attraverso tutta la nostra attività politica e religiosa e culturale e socio-economica e giuridico-statale passa come un filo rosso questa idea ed essa dà il tono principale a tutto il lavoro del Seniorato. Siamo arrivati abbastanza lontano in questo tendere verso il fine supremo, ci siamo avvicinati alla cima. Anche i fratelli orientali hanno mostrato molta comprensione e amore per questa missione la più sacra del nostro popolo. Infatti, tante intese degli uomini impegnati per i principi di Cristo e per il bene del popolo, e tante preghiere di entrambe le Chiese non rimarranno senza successo. Ci riuniremo in una grande falange di Cristo, creeremo un'unica cultura cristiana slava e saremo membri della stessa Chiesa. E sarà un pastore e un gregge. Solo allora e il Serbo e il Croato e lo Sloveno sarà membro di un'unica nazione, allora la Jugoslavia sarà la patria libera della nuova nazione sud-slava».

            Poco più tardi, due mesi prima della morte, riferendosi al Seniorato, Rogulja scrisse nella "Luč" del 25.XI.1919, num. V, pp. 48-50:

            «Si creava dunque un nuovo gruppo che in base ai principi cristiani culturali e socio-economici e all'insegnamento di Cristo voleva lavorare per il popolo anche nella vita pubblica. E' un segno delle desolanti condizioni nostre che questo gruppo, sotto il nome di Partito Popolare Croato, soltanto dopo il rivolgimento si è presentato davanti al mondo... E' stato lo sviluppo logico di tutto il Movimento cattolico croato a portare a questo atto...».

           

            12. Il Seniorato cattolico e l'Episcopato jugoslavo.

           

            A nome di questo gruppo che ora rappresentava il Movimento cattolico croato e il suo Seniorato, Petar Rogulja redasse un memorandum per la Conferenza episcopale che doveva riunirsi il 15 luglio 1919. Il memorandum fu preparato dietro suggerimento dell'amministra­tore apostolico di Križevci, Dionizije Njaradi, e approvato dal Seniorato il 14 luglio. In esso venivano trattate varie questioni attuali di politica ecclesiastica, culturale, socio-economica. Tra l'altro, il Seniorato raccomandava che, in opposizione alla "Jugoslaven­ska Njiva", venisse fondato il settimanale "Moderna kultura" quale organo del Movimento cattolico che sotto la direzione esclusiva dei seniori avrebbe sviluppato l'ideologia del Seniorato; il Seniorato chiedeva l'aiuto dei vescovi per questa impresa. Inoltre pregava che ogni vescovo nella propria diocesi costituisse un comitato di azione cattolica, i cui membri dovevano essere soltanto i seniori, perché altrimenti avrebbe potuto soffrire l'unità d'azione. Soprattutto però il Seniorato insisteva che il popolo fosse diviso tra il "partito della fede" e il "partito dell'ateismo". Avendo deciso di fondare il "partito della fede", il Seniorato era disposto a combattere energicamente tutti i gruppi che difondevano l'indifferentismo. Desi­derava quindi che tutti i cittadini cattolici dello Stato, specialmente gli Sloveni e i Croati, si riunissero anche politicamente per ottenere la vittoria dei propri principi in parlamento.

            «Il nostro primo obiettivo è l'unione delle Chiese: in questo sta la provvidenziale raison d'être dello Stato dei Serbi, Croati e Sloveni. Tutto ciò che ostacola questo fine va allontanato. E più di tutto è di ostacolo la politica tribale separatista, che allontana anche le tribù cattoliche l'una dall'altra, e come non allontanerà sempre di più i Serbi e i Croati... Pensiamo che l'alto episcopato, come rappresentante dei principi di Cristo, debba accettare e approvare l'ideologia del Seniorato nella politica». Il Seniorato, tuttavia, riteneva che il Partito Popolare dovesse considerarsi non confessionale. Pretendeva però che tutti i vescovi si mettessero d'accordo nella politica, e precisamente in base ai principi del Partito Popolare, altrimenti la lotta per la Costituente avrebbe avuto il carattere di "Kulturkampf" e sarebbe finita con la vittoria della massoneria... Il Seniorato, pur chiedendo che i vescovi influissero sul clero e attraverso questo sul popolo, pregava che non si impegnassero pubblicamente per il Partito popolare, bensì dando al clero istruzioni non ufficiali, in maniera che queste non venissero a conoscenza della stampa avversaria. Pregava in particolare tutti i vescovi di non appoggiare alcun partito che favorisse il separatismo tribale, perché tale partito «ci allontana dal nostro obiettivo principale - l'unità nazionale e ecclesiastica».

            Nel "Seniorski vjesnik" 1919, num. 4, dopo il testo del memorandum del Seniorato veniva pubblicata la risposta della Conferenza Episcopale, nella quale si approvava il programma religioso-culturale del Seniorato e del Partito Popolare. Pur non volendo entrare nelle questioni puramente politiche, l'Episcopato raccomandava che nel sostenere e difendere  i principi cattolici si agisse in modo da impedire che la Chiesa e la religione diventino vittima della prepotenza di qualche partito o di qualche blocco anticattolico di partiti. L'episcopato inoltre riteneva conforme all'attuale situazione (politica) che il Partito Popolare non avesse scelto una posizione confessionale o esclusivamente tribale.[30] L'Episcopato auspicava che tutti i cattolici, laici e sacerdoti, si trovassero nel Partito Popolare. Infine lodava «la purezza dei principi cattolici del Seniorato, il disinteresse, lo zelo e lo spirito di sacrificio dei suoi membri ed altri collaboratori». A fare da intermediari tra il Seniorato e l'Episcopato venivano designati i vescovi Josip Lang, ausiliare di Zagreb, e Dionizije Njaradi, amministratore apostolico (dal 22 aprile 1920 vescovo) di Križevci. L'arcivescovo di Zagreb, poi, sarebbe stato il ponte tra questi due e gli altri Ordinari.

            Questa risposta dell'Episcopato non portava né data, né numero di protocollo, né firma né l'indirizzo. Probabilmente il comunicato fu portato al Seniorato dal vescovo Njaradi, egli stesso senior. Qualcuno più tardi negherà l'autenticità di questo documento, allora però esso fu accolto senza contestazioni, ed anche il Seniorato della Slavonia non reagì. Seguì un periodo di frenetico lavoro, di organizzazione della gioventù, della stampa, del partito.[31] Il motore di tutto il lavoro organizzativo era, naturalmente, Petar Rogulja. Velimir Deželić jr. scrive: «Mentre io ero corroso dal represso pessimismo circa il futuro del popolo croato, il dr. Rogulja con un immenso ottimismo proclamava che nel nuovo Stato dei Serbi, Croati e Sloveni tutto doveva prossimamente andar bene. Egli organizzava instancabilmente. Sotto il suo influsso suggestivo viveva la gioventù cattolica, gli universitari, gli studenti di teologia, i seniori, i primi membri del Partito Popolare Croato. Ed anch'io quando ero con lui!»[32]

 

            Il 19 febbraio 1920 Petar Rogulja morì di polmonite a Sarajevo, sua città natale, all'età di 32 anni. Prima di lui, l'8 dicembre 1918, era morto l'arcivescovo di Sarajevo, Josip Stadler. Nel dicembre del 1920 morì anche il vescovo Mahnić.[33]

                                  


 


    [1] Per la stesura di questa sintesi abbiamo potuto servirci anche di materiale inedito, e precisamente degli scritti di alcuni protagonisti del Movimento cattolico, come Velimir Deželić jr. (v. infra, nota 3), Ljubomir Maraković (Diario) e Dragutin Kniewald (Diario - per il periodo posteriore al 1916). Per la conoscenza del clima nelle file dei cattolici croati negli anni antecedenti la Prima guerra mondiale è assai utile la biografia di Rudolf Eckert, scritta da Petar Grgec (v. infra, nota 17). 

    [2] Cf. Deželić, IVb, p. 27.

    [3] Testo riportato da Deželić, IVb (1914-1916), p. 28s. - A p. 41-42 Deželić riporta una lettera del proprio fratello Stanko, il quale lo informa della visita fatta (nella primavera del 1915) al sac. Matija Manjarić a Osijek e all'avvocato dr. Matija Belić a Đakovo. Questi due non erano della corrente Grgec-Rogulja. Manjarić si era limitato ad avvertire quelli dell'associazione "Domagoj" di «non legarsi troppo agli affari secolari», Belić invece aveva parlato dei pericoli che, secondo lui, correva il movimento di Mahnić (insufficiente ubbidienza alla Santa Sede, poca conoscenza della fede cattolica, il disordine religioso interiore), e aveva criticato il giornale cattolico "Novine" per il modo troppo libero di scrivere dello Stato e dell'autorità statale, senza pensare all'origine divina della potestas, che ordina la società in modo da evitare l'anarchia rivoluzionaria. Aveva criticato anche l'intercofessionalismo del Rogulja e il suo modo di dirigere il giornale. D'altra parte mons. Krapac, vescovo di Đakovo, diceva a Stanko Deželić: «Sento che i gesuiti si lamentano dei "Domagojci" che non sarebbero abbastanza buoni cattolici. Voi però siete laici, non frati... Oggi è un eroismo se come universitari pubblicamente confessate di essere cristiani cattolici. Il buon Dio vi compenserà per questo!». Due valutazioni diverse, dunque, che non rimarranno isolate.

    [4] Cf. Deželić, IVb, p. 44.

    [5] L'articolo Pred zoru fu pubblicato nell'"Almanah Luči" 1916/17, I, pp. 125-144, e poi come opuscolo a parte. Avutolo da Rogulja, Velimir Deželić jr. gli fece notare che non era opportuno far rivivere i "geronimiani" e "salesiani" di Manjarić sotto nuovi termini tecnici, come anche era pericoloso il fatto di averli schierati in due fronti. Al che Rogulja gli rispose: «Cosa vuole - se io sono l'aries che fa la breccia nel muro!». Deželić, IVb, p. 46.

    [6] Dragutin Kniewald nel suo Diario inedito, p. 53, da dove abbiamo preso questa citazione, dice che era stato il redattore della "Hrvatska straža", dr. Ante Alfirević, insieme con il vescovo Mahnić, a scrivere questa critica dell'articolo di Rogulja. Kniewald attesta di averlo appreso dallo stesso Alfirević.

    [7] "Hrvatska straža", 1917, pp. 291-297.

    [8] Stampato nel foglio "Hrvatski katolički senijorat za Slavoniju - Saopćenja: List 4", p. 4. (copia allegata al Dnevnik di D. Kniewald).

    [9] D. Kniewald, Diario, p. 53. - Petar Grgec scriverà più tardi ("Luč" XXIV, 1928/29, num. 3, p. 90): «Sì, esiste una lettera del vescovo Mahnić..., in cui il def. vescovo parla molto fortemente del dr. Rogulja, ma quelli che diffondono questa lettera si prendono gioco ingiustamente della buona fama dell'uno e dell'altro nostro grande uomo, poiché dimenticano di dire che il vescovo Mahnić più tardi ha ritrattato il proprio giudizio e condannato proprio quelli che avevano denigrato il dr. Rogulja davanti a lui...». Grgec scrisse queste parole nel clima arroventato creatosi in seguito all'articolo di Kniewald sul Movimento cattolico croato in "Vrhbosna" del 20 maggio 1927, quando i Seniori credettero di dover difendere Rogulja dalle "calunnie" dell'articolista (cf. infra, Cap. XII Intr.). Scrivendo così, però, senza necessarie distinzioni (fatte invece da Kniewald nel diario), Grgec non si accorgeva di fare un cattivo servizio alla buona fama del vescovo Mahnić: se, infatti, Mahnić avesse ritrattato tutto quello che aveva scritto di Rogulja, avrebbe dato prova di poca serietà nello scrivere la lettera in questione.

    [10] Kniewald, Diario, p. 53s.

    [11] D. Kniewald, Diario, p. 54, annota: «In che cosa consistesse la differenza più profonda tra queste due correnti, io non riuscivo a individuare. G. Galović, nel "Glasnik biskupije bosanske i srijemske" 1917, num. 17, p. 135, ha fatto capire di presentire in che cosa sarebbe la differenza essenziale e forse insormontabile tra Petar Rogulja... e la generazione più anziana: "Se io sia sulla giusta via, lo mostrerà l'avvenire, quando apparirà chiaro tutto ciò che ora soltanto presentiamo: cioè che il movimento cattolico è servito a qualcuno solo per ottenere un certo obiettivo politico"». Stando alle parole dello stesso Rogulja, sopra citate, «la differenza principale che caratterizza le due scuole sta nel modo in cui si vuole risolvere la questione nazionale».

    [12] Cf. Deželić, IVb, p. 88s.

    [13] "Hrvatski katolički senijorat za Slavoniju - Saopćenja: List 4", p. 4.

    [14] Ibid., pp. 5-6. Sulla Dichiarazione di Stadler v. più avanti, al num. 9.

    [15] La cosiddetta "Dichiarazione di maggio".

    [16] Si tratta delle Congregazioni Mariane, promosse dai Gesuiti. Nella discussione in seno al Seniorato della Slavonia, svoltasi il 28 dic. 1917, era venuto fuori anche il fatto che Petar Rogulja, per distogliere i membri del "Domagoj" dai Gesuiti, li distoglieva dalle congregazioni mariane. Il sac. Donković, presente alla riunione, per difendere Rogulja diceva che egli lo faceva per sottrarre i giovani «all'educazione centralistica nello spirito della nuova Austria», e non per qualche motivo religioso. Cf. "Hrvatski katolički senijorat za Slavoniju - Saopćenja: List 4", p. 6.

    [17] Vjera, sorella del prof. Ljubomir Maraković.

    [18] Firmato da R. Petrić (pseudonimo di Petar Rogulja), in "Luč" 1916, II, p. 61ss.

    [19] Il testo della lettera al dr. Markulin è trascritto nel Diario di Maraković, sotto Gennaio 1918. Continuando, Marako­vić accenna alla possibilità di essere trasferito da Sarajevo, dove allora si trovava, a Zagreb. «Se questa (soluzione) fosse venuta allora quando fui trasferito quà, si sarebbe potuto salvare ancora molte cose e forse tutto avrebbe preso un indirizzo completamente diverso...». Registra quindi il suo stato d'animo: «Quanto più (vado) avanti, più cresce in me il grandissimo desiderio di una profonda vita interiore, del disprezzo di tutto quello che è esteriore, materiale, dell'onore, del prestigio e del guadagno. Io semplicemente non comprendo perché il mondo cerchi tutto ciò, che cosa voglia ottenere con questo rovinando tutta la vita per qualche cosa che non porta proprio nulla e che non dà alcuno scopo e senso alla vita». Anche questa confessione serve per farci conoscere colui che ebbe un ruolo determinante nella formazione di Ivan Merz.

    [20] Cf. Deželić, IVb, p. 95.

    [21] D. Kniewald, Diario, p. 54. Kniewald poi dice di sé: «Io già dagli anni precedenti ero lontano da queste discussioni politiche. Non mi ritenevo chiamato ad esprimermi per l'una o per l'altra parte, perché mi mancavano le necessarie premesse. Ero portato a mettermi dalla parte di coloro che ritenevano che le questioni politiche non spettassero al movimento cattolico, perché ciò avrebbe potuto indebolirlo e dividerlo». Questa - notiamolo subito - rimarrà la disposizione di fondo del Kniewald, il quale sarà collaboratore di Ivan Merz, poi suo biografo e infine teste nel Processo informativo.

    [22] M. Matulić, Ratni Domagoj, (1916-1918), in "Luč" 20, 1925, num. 9-10, p. 401, citato in Zlatko Matijević, Hrvatska pučka stranka (1919.-1929. godine) (Il Partito popolare croato 1919-1929). Dissertazione dottorale alla Facoltà di filosofia dell'Università di Zagreb, 1993. A questo lavoro, per ora inedito, abbiamo attinto vari particolari relativi all'attività politica dei cattolici croati, di cui nelle pagine seguenti.

    [23] Lo stesso arcivescovo raccontò poi a tavola come erano andate le cose, e il suo segretario, Ambroz Benković, ne scrisse a Petar Rogulja. Pilar e Vancaš, che in precedenza erano stati a Vienna e ricevuti in udienza dal re, parlavano delle prospettive positive per la Monarchia, che doveva essere riformata (come Confederazione danubiana); era il momento - dicevano - che i veri rappresentanti dei Croati esprimessero pubblicamente il vero desiderio del popolo croato; sarebbe stato pericoloso giocare sulla sola carta della rivoluzione e della Jugoslavia. V. Deželić, IVb, pp. 82-83, riferisce (sempre in base alla lettera di Benković a Rogulja) altri dettagli sugli argomenti con cui Pilar e Vancaš ottennero la firma di Stadler al testo della dichiarazione già pronto. - La Dichiarazione di Stadler fu criticata dalle "Novine", tra l'altro: perché escludeva gli Sloveni ai quali non si può estendere il diritto statale croato; perché parlando dell'Istria "croata" lasciava intendere che c'era un'altra Istria appartenente alla sfera degli interessi statali tedeschi sull'Adriatico; perché, secondo il punto II, lo Stato croato avrebbe soltanto l'autonomia politica e finanziaria, il che è ben diverso da uno Stato libero e indipendente in base al diritto statale croato; perché nella dichiarazione si parla dei "nemici storici" del popolo croato, senza nominare i Magiari, come se essi fossero "i nostri amici storici". - La maggioranza del clero della Bosnia non aderì alla Dichiarazione di Stadler.

    [24] Al sequestro e alle mutilazioni degli articoli di Mahnić si ovviava così che gli studenti di teologia di Zagreb li poligrafavano e difondevano.

    [25] Nella massonica "Hrvatska njiva" l'unionismo di Mahnić veniva così definito: «"La missione dell'unione" di Mahnić in realtà è il "Drang nach Osten" di Roma […]! Questa politica […] è solo apparentemente jugoslava, al fine di meglio riuscire, in realtà però è l'arma della propaganda vaticana per la cattolicizzazione dei Balcani!». Cf. Z. Matijević, op. cit., cap. I, nota 283. 

    [26] Mahnić scriveva così perché si rendeva conto che l'espansionismo tedesco verso l'Oriente minacciava gli Sloveni e i Croati (questi ultimi erano minacciati anche dai Magiari) e, d'altra parte, aveva una visione ottimistica sull'unione delle Chiese, mentre gli mancava una adeguata conoscenza dell'ideologia e della politica gran-serba (della quale, invece, era preoccupato l'arcivescovo Stadler). Deželić, IVb, p. 92, riferisce sull'incontro che il vescovo Mahnić ebbe l'11 marzo 1918 con i "domagojci" a Zagreb: «Subito è cominciata la discussione... Dei Serbi il vescovo disse: "L'Austria ha come norma 'Divide et impera'. Così ha creato l'inimicizia tra Serbi e Croati. Ci è riuscita in molti decenni, ed io temo che i vecchi contrasti esplodano di nuovo. In questo momento i Serbi e i Croati hanno capito che attraverso le loro terre i Tedeschi tendono verso l'Oriente. Ciò che sta accadendo ora è il più radicale movimento che la storia conosca. I Serbi, Croati e Sloveni hanno capito l'importanza del momento". - Un "domagojac" interviene: "Molti sacerdoti, specialmente i più anziani e l'alto clero ci spaventano con i Serbi".- "Io non li temo!" replica il vescovo Mahnić. "Solo se nei Croati sarà abbastanza forte lo spirito religioso. Anzi, i Croati hanno una grande missione. Se Dio ci fa avere un unico Stato, anche se non si arriva all'unità nazionale, ma almeno alla concordia fraterna, da noi sarebbe il terreno più adatto per l'unione della Chiesa d'Occidente con quella Orientale"».-- In quella stessa occasione il vescovo Mahnić - sempre secondo Deželić, p. 93 - accennò alla controversia con il Seniorato della Slavonia: «Non posso credere ciò che essi propalano di voi: che non siete abbastanza grandi cattolici. Non posso assolutamente capire che sareste tanto insinceri da ingannarmi. Ciò non avrebbe senso, poiché voi di buona volontà entrate nelle nostre file, dove vi attende soltanto la tribolazione e nessun agio».

 

    [27] A. Mahnić, Politika hrvatskih katolika, in "Novine" 5/1918, num. 109, p. 1.

    [28] S. Vučetić, Značaj jugoslavenske propagande, in "Hrvatska" 1918, num. 2084, p. 1.

    [29] Descrivendo il clima che regnava allora tra gli intellettuali cattolici croati, il p. Dominik Mandić O.F.M., cinquant'anni più tardi ricordava l'apprensione con cui egli personalmente, ma anche la maggior parte dell'intellighenzia croata avevano vissuto la caduta della Monarchia absburgica e la creazione del nuovo Stato comune dei Serbi, Croati e Sloveni. Furono però il dr. Petar Rogulja e il dr. Janko Šimrak a infondere la speranza e incoraggiare ad un atteggiamento positivo verso il nuovo Stato. Sotto l'influsso dell'idealismo di Krek, essi speravano che nelle nuove circostanze i Croati, come più progrediti culturalmente ed economicamente, avrebbero "guidato il nuovo Stato". E quanto all'aspetto religioso, i Serbi ortodossi avrebbero avuto occasione di conoscere più da vicino i cattolici e di liberarsi così dei loro pregiudizi verso il cattolicesimo, il che avrebbe col tempo preparato il terreno all'avvicinamento reciproco e poi all'unione della Chiesa ortodossa serba con la Chiesa cattolica. Ciò avrebbe potuto infine influire anche sulle altre Chiese ortodosse, così lo Stato dei S.C.S. sarebbe diventato l'esempio e il ponte per l'unione di tutti i cristiani. Cf. lettera del p. Mandić dell'8 luglio 1968 in Ivan Mužić, Hrvatska politika i jugoslavenska ideja, p. 191s.

    [30] "Tribale" qui sta per "croato", secondo la teoria di quelli che proclamavano che i Croati, Serbi e Sloveni erano tre tribù di un solo popolo! Petar Grgec, il più stretto collaboratore di Rogulja, era uno di questi. Vent'anni più tardi farà il pubblico "mea culpa", scrivendo nel libro Sveta Hrvatska (Croazia santa): «Nella valutazione della propria nazionalità molti ideologi croati hanno commesso errori fatali proprio perché deducevano le loro conclusioni da elementi esterni che accompagnavano la vita del popolo croato, e non hanno sufficientemente tenuto presente ciò che pensa, sente e desidera il popolo croato, e ciò che pensano, sentono e desiderano gli altri popoli affini o non affini. (...) Bisogna avere la forza e la sincerità di rinonoscerlo. E se qualcuno in passato ha sbagliato, tenendo presente soltanto il mondo delle teorie, dev'essere disposto a dire: "Ho sbagliato! Altra era la mia costruzione mentale, e altra la verità che la prassi della vita ha messo in evidenza! Per quanto mi riguarda, desidero risparmiare al mio popolo tutte le ulteriori difficoltà che potrebbero seguire dalla mia sbagliata visione, perciò privatamente e pubblicamente riconosco e confesso la sua individuale dignità nazionale e la sua individuale esistenza nazionale!" Una tale confessione dovrebbero farla soprattutto quelli che prima della guerra, durante la guerra e dopo la guerra si erano allontanati dalle idee fondamentali della santa Croazia. Come si chiamava quell'edificio culturale per il quale prima della guerra ha lavorato una gran parte, forse la maggiore, dell'intellighenzia croata? ŠJugoslavia!Æ O forse quello non merita di essere chiamato lavoro? Poiché in verità quello era piuttosto la propaganda e pubblicità per un futuro lavoro, il fantasticare, il discutere e il gridare le parole. Sì, si fantasticava nella pietra e sulla tela, negli studi artistici e nelle mostre internazionali Šlo scultore Meštrović!Æ (...) Nessuno scrittore, nessun regista, nessun film sonoro potrà ripetere quel fantasticare e quel gridare. (...) Le grandi parole della gioventù e dei più anziani davano l'impressione che il popolo croato vivesse i giorni di straordinario entusiasmo e di ascesa. Alle teste calde nessun monte era troppo alto, nessuna meta irraggiungibile. Eppure, eppure... quello era il periodo della più profonda depressione croata». P. Grgec, Sveta Hrvatska, Zagreb Š1937Æ reprint 1989, pp. 222, 224.

                Il prof. Ljubomir Maraković che visse il rivolgimento del 1918 a Sarajevo, era più realista quando il 20 agosto 1919 annotava nel Diario: «Tutto questo cambiamernto è stato così difficile e così amaro. Forse nessuna disgrazia nella storia dell'umanità è così grande come la fine della guerra mondiale. Finché ci si combatteva testa a testa, almeno quelli che combattevano avevano forza e sincerità, sebbene già dietro il fronte cominciasse questo nefasto gioco che si è impadronito del mondo. E adesso sulla menzogna e frode, sugli inganni e ingiustizie, sulle rapine e la corruzione vengono fondati gli Stati e si canta il sacro inno della pace. Oh, come sono lontani dalla pace tutti questi cuori inquieti e insaziabili, queste anime avvelenate, questi spiriti depravati! No, non voglio scrivere la storia del mio tempo. Scrivo soltanto (per dire) come tutto ciò mi sembra squallido e triste e come non sopporto di guardare più a lungo dalla finestra la strada. Quando vado per strada, non guardo molto intorno a me perché sono (immerso) nei miei pensieri; così però sono costretto a guardare tutta questa volgarità della scostumata gentaglia, tutta questa vergognosa inciviltà del Conquistatore balcanico. No, io non sono sciovinista, anzi non sono nemmeno nazionalista dall'ottobre 1918, perché non ho cuore per tutte queste trasformazioni imposte dalla Storia, per quanto esse fossero corrette, per quanto io veda che non poteva essere diversamente. Io amo con tutto il cuore quello che amo, quello che anche prima amavo e che oggi proprio non posso amare perché non esiste. Oggi non esiste il popolo (nazione) ma un concetto dottrinario sui popoli e le tribù, non esiste lo Stato ma un pazzo e insopportabile caos di ingiustizie e di illegalità».

    [31] D. Kniewald, Diario, p. 73.

    [32] Cf. Deželić, IVb, p. 165.

    [33] Dopo che gli Italiani il 16 novembre 1918 avevano occupato l'isola di Krk, Mahnić si era opposto alle violazioni dei diritti naturali del suo popolo, protestando presso l'ammiraglio Cagni; scrisse anche alla Conferenza di pace a Parigi chiedendo il rispetto del tanto proclamato principio di autoderminazione dei popoli. Voleva recarsi anche a Roma per informare il Papa delle ingiustizie che l'esercito italiano commetteva, ma gli fu negato il lasciapassare. Alla fine chiese e ottenne di recarsi in Croazia per ragioni di salute; gli Italiani, anzi, si offirono di trasportarlo con il loro cacciatorpediniere a Senj. Anche se gli sembrò sospetta tale benevolenza, il vescovo l'accettò, ma volle che lo accompagnassero il suo medico personale dr. Stanjek e il p. Ignacije Radić. L'11 novembre 1919, dopo circa venti minuti di navigazione in direzione di Senj, la nave per ordine dell'ammiraglio Cagni si diresse verso Ancona. Così con inganno il vescovo fu condotto al confino nell'eremo Camaldoli presso Frascati, dove rimase fino al febbraio 1920. Ai primi di marzo ritornò a Zagreb, malato di cancro, dove morì il 14 dicembre 1920. L'episodio della deportazione di Mahnić in Italia è stato descritto dal teste oculare p. Ignacije Radić nella "Luč" XXII, num. 8, 26 gennaio 1927, p. 146s.